LELIA E ULISSE


Spesso il nostro cuore si riempie di ammirazione per uomini e donne che hanno saputo rendere la loro esistenza un canto ininterrotto di lode a Dio. Abbiamo una schiera di innumerevoli esempi di religiosi e religiose innalzati sugli altari della santità: sembrerebbe quasi che tale traguardo sia meta esclusiva di chi abbandona i propri affetti per consacrarsi totalmente al Signore. Sembrerebbe che i legami umani siano di impedimento ad una elevazione dell’anima a Dio.
Abbiamo bisogno di gridare più forte, in questo tempo di incredulità e di indifferenza, che tale cammino è per tutti. Abbiamo bisogno di esempi che incoraggino gli uomini di ogni luogo e di ogni stato sociale ad abbracciare una fede totalizzante, sfatando l’idea di una santità come esclusiva prerogativa dei consacrati!
Lelia Possidente (Potenza, 4-05-1893) e Ulisse Amendolagine (Salerno, 14-05-1893), attraverso la loro unione vissuta dentro un rapporto sponsale, hanno irraggiato di luce divina il loro ambiente familiare in virtù di quell’amore umano e soprannaturale che vivevano (il 18-06-2004 ha avuto inizio il processo di beatificazione).
Una coppia, dunque, dal cui amore sono nati cinque figli: un marito laureato in giurisprudenza ed impiegato a tempo pieno presso il Ministero dell’Interno; una moglie, insegnante elementare, che rinuncia al lavoro per dedicarsi completamente alla famiglia; tre figli che, giovanissimi, decidono di consacrarsi al Signore abbandonando il calore e la protezione dei genitori.
Conosciamo nei particolari la loro storia attraverso le numerosissime lettere che inviarono ai figli lontani, soprattutto a Giuseppe che, all’età di 15 anni con il nome di fra Raffaele, abbraccerà il rigore dell’Ordine dei Carmelitani. Dal racconto di quest’ultimo veniamo immessi nel clima della loro abitazione romana e resi partecipi dei segreti di un ambiente trasformato in luogo di perenne incontro con il Dio incarnato: “Tutto concorreva a farci pensare alla vita eterna. La preghiera e la presenza di Dio erano i mezzi più efficaci per ottenerla. Mamma e papà la desideravano per loro stessi, per noi e per tutta la parentela”.
Le giornate della famiglia erano ricolme di riferimenti a Dio: le preghiere personali degli sposi sull’inginocchiatoio, quelle comunitarie in casa, le letture di meditazioni organizzate da Ulisse per i figli, gli altarini preparati da Lelia in occasione delle varie festività religiose, le benedizioni quotidiane, le soste davanti al Tabernacolo. “Il passare davanti ad una Chiesa ed entrarvi era per la nostra famiglia la cosa più naturale. La presenza di Gesù in qualsiasi Chiesa era come se stesse ad aspettare il nostro saluto. Il Tabernacolo circondato da luci e fiori capivamo che nascondeva un mistero che dovevamo adorare, ci attirava e non potevamo tralasciarlo”.
Ma il cammino di santità intrapreso dalla coppia raggiunge una intensità particolare nel 1947 quando la partenza di tre figli farà sperimentare loro la potenza dell’amore sacrificale. Nel leggere le lettere si resta esterrefatti per la sofferenza patita ma accettata con fede da entrambi. Il distacco dai tre figli conduce Lelia e Ulisse sulla strada del Calvario, di un cammino di amore pure che, anche nel dolore, è abbracciato e custodito fino alla fine. Si esalta e si ammira il coraggio di chi, abbandonato casa e affetti, si appresta ad una vita di solitudine di fronte a Dio, ma si dimentica il distacco sofferto da chi patisce tale allontanamento. Una sofferenza accettata come atto di sottomissione fiduciosa di una madre e di un padre alla volontà di Dio: “Io prego assai per te e non passa un attimo senza pensare a te, a te in modo speciale ed a Robertino e Francesco. Che vuoto in casa e che silenzio! Papà quando ritorna dall’ufficio mi dice sempre ‘Come si fa?’. Eh! Caro Peppone mio, si fa quello che Dio vuole e con quale dolore Lui solo lo sa”.
Non mancano i momenti di sconforto, soprattutto per Lelia, che si lascia andare ad espressioni di sfogo che sottolineano il peso della croce che insieme al marito cerca di sostenere: è il lamento di Cristo nell’orto degli ulivi, nell’ora della solitudine estrema, lamento seguito da un abbandono fiducioso nelle mani del Padre. Sofferenza, dunque, accettata e vissuta nella certezza di una redenzione operata solo da Cristo; Ulisse in questo cammino di dolore è consolato da una Presenza divina pervasiva: “guardando Gesù mi sembra di vedere te in Gesù e così pure tu quando fai orazione davanti al Tabernacolo pensa di vedere in Gesù Sacramentato me e tutti noi in unione con te. Così parlandoci in Gesù e attraverso Gesù non saremo più lontani, saremo vicinissimi e la nostra vicinanza non sarà semplicemente immaginaria, ma sarà reale, vera, palpitante, viva…E ci diremo tante cose e chi potrà impedircelo?”. E come per Gesù, anche per Lelia e Ulisse la via crucis procede fino al sacrificio estremo: un tumore al mesentere colpisce Lelia costringendola a due anni circa di atroci dolori. Racconta al figlio Raffaele tutte le cure a cui è sottoposta e gli descrive il decorso della malattia che le impedisce ad un certo punto di camminare relegandola in un letto; ma dalle lettere di questi mesi si rimane colpiti dal continuo atto di ringraziamento che rivolge al Signore per ogni piccolo miglioramento o sollievo che le viene concesso: “Deo gratis!” esclama spesso insieme alla ripetuta dichiarazione di fede “Sia fatta la volontà di Dio!”.
Il 2-07-1951 Lelia muore donando la sua vita per la purezza dei figli. Ulisse le è accanto con un dolore amplificato da questo ulteriore allontanamento di un altro membro della sua famiglia, ma ancora una volta, con la consolazione che gli proviene dalla fede nella vita eterna; racconta il figlio carmelitano: “papà si accorge della fine e le dice a voce alta: ‘Salutami mamma, papà…’ aggiungendo anche altri nomi di parenti defunti”.
Ulisse vivrà ancora fino al 1969, ammaestrato da una solitudine che lo riconduce instancabilmente tra le braccia del Padre: pur nella tristezza, nell’abbattimento morale, nella malattia (paresi alla parte destra del corpo), non emette mai una espressione di ribellione o di lamentazione. Tutto accetta ed invoca con più forza aiuto per superare i limiti della propria miseria: “io sento che il mio compito si fa più arduo e sento la mancanza di vostra madre e ho bisogno delle vostre preghiere”.
Sulla lapide della tomba dove riposano, Ulisse fece scrivere “RISORGEREMO!”. Ripete spesso: “tutto si muove, nulla sta fermo, nulla è definitivo in questo mondo…Dopo la morte ci sarà poi il Paradiso ove la gioia sarà completa”.
Lelia e Ulisse rappresentano un grande esempio di santità di coppia. Due sposi che trasformano la vita matrimoniale in luogo di continua presenza dell’amore di Dio che si dona attraverso la concretezza dei lavori e dei gesti quotidiani e si rende sperimentabile nelle attenzioni e negli affetti vissuti dentro i legami familiari. Tra le mura domestiche, estese con la preghiera fino ad inglobare anche i figli lontani, Lelia e Ulisse vivono con coscienza ed abnegazione la loro dipendenza da Dio in un rapporto comunitario dove ognuno trova la sua edificazione personale.
La maestà e lo splendore di Dio risplendono ancor più mirabilmente nell’unione di due cuori innamorati in Cristo Gesù.

M. Concetta Bomba ocds


La parrocchia
Santa Teresa d’Avila al Corso d’Italia,





e la Postulazione della Causa di Canonizzazione
di Lelia Cossidente e Ulisse Amendolagine

a 40 anni dalla morte di Ulisse
hanno il piacere di invitarVi ad una serata
in ricordo degli sposi



Lelia e Ulisse Amendolagine
Servi di Dio



sabato 30 maggio 2009 - ore 18,30
Corso d’Italia 37 - Roma


- in basilica: celebrazione della Santa Messa
- in parrocchia: video e immagini della vita familiare di Lelia e Ulisse
- testimonianze: li abbiamo conosciuti / abbiamo sentito parlare di loro / hanno parlato al nostro cuore
- piccola visita ai luoghi della parrocchia che ricordano Lelia e Ulisse. Ci accompagnano e il figlio e la figlia dei servi di Dio.


tel. 06.6988.6211


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