PRIMA CHE SCENDA LA NOTTE





Preambolo personale…

 

Un romanzo tra le mani ricevuto in dono: un racconto di vita che prima ancora di iniziare a ripercorrerne con la lettura le varie tappe, sai che non ti lascerà indifferente. Non perché ne conosci il protagonista, ma piuttosto per il fatto che lo stesso scorrere di una esistenza attraverso la ri-presentazione dei suoi vissuti, ti getta inevitabilmente in quel fluire di ricordi che, pur non essendo i tuoi, divengono, per una sorta di processo empatico, apertura verso un mondo di nuova specie dove, però, riaffiorano, in un confronto-scontro, ciò che hai vissuto pure tu insieme a ciò che avresti voluto vivere in più o in meno.

Con un senso di gratitudine  comunico, ora, quell’inevitabile affastellamento di pensieri ed emozioni, che tale  lettura ha provocato in me: gratitudine per aver reso possibile, ancora una volta, quel sostare beato di fronte all’immagine compiuta di una esistenza dipinta a tinte forti, tanto forti da ridestare in me quella domanda di senso, di definitiva comprensione del tutto e di ogni sua parte.

 

COME UNA RECENSIONE…

 

Prima di iniziare la lettura, inevitabilmente, lo sguardo è attratto dall’immagine di copertina: un cavaliere avanti nell’età, sembrerebbe, che procede con fare deciso, ritto sul suo cavallo con armatura in pugno…il paesaggio circostante mi appare piuttosto brullo, deserto, ma in un primo piano imponente ti scontri con delle forme di vita che quella terra ha saputo donare.

Poi l’attenzione si sposta sul titolo: “Prima che scenda la notte”, ma non comprendi, né potresti fin da subito capire a quale sorta di “notte” ci si riferisce. Il cavaliere solitario potrebbe essere quel viandante che procede lungo la “distesa” della vita e che è costretto suo malgrado ad arrestare il suo andare, anche solo per riposare, quando ormai il buio della notte prende il sopravvento.

Ma la notte non è solo il tempo del riposo: notte è buio, assenza di luce e di colori, è sospensione delle proprie facoltà, è sogno e immaginazione; ma la notte è anche paura, inquietudine, turbamento, aridità, morte, nulla.

Bisogna confrontarsi con il testo autobiografico per affermare di quale “notte” si parli…

Il racconto di vita ha inizio all’interno di un “vecchio” luogo, quello che più di tutti è in grado di ri-evocare le proprie origini: la casa paterna non è solo spazio abbandonato a se stesso, è principalmente “memoria”, contenitore di ricordi che, per il semplice fatto di entrarvi dentro, ri-emergono dalla dimenticanza e costringono ad un resoconto finale.

E’ quel che accade a Federico nel varcare la soglia di una casa che intende vendere, piena di vecchi oggetti “totalmente indifferenti” in apparenza a quel che è stato, incapaci, a detta dello stesso protagonista, di trattenere l’impronta dell’uomo: “nulla dello spirito umano resta sulle cose, chiuse nella loro assoluta indifferenza” (p. 1).

Ma poi si resta meravigliati nel vederlo sprofondare in una “vecchia poltrona sdrucida” e restare lì, per tutta la durata del libro, fino a sera, con un fascio di manoscritti ritrovati, quasi per caso, che gli “impongono” di prenderli nuovamente in considerazione. Ti meraviglia, cioè, che i ricordi fuoriescano proprio da vecchi oggetti come la stessa casa paterna con il suo vecchio arredo, la poltrona sdrucita, i manoscritti! La forza rievocativa della materialità toccata con mano nella quotidianità sembra permettere a Federico proprio ciò in cui non crede affatto: l’esperienza esaltante di una vita che continua a comunicarsi anche nelle “cose” e oltre il loro apparente “nulla” di significazione.

In tutta l’opera si nota questa continua tensione tra un senso perenne di incompiutezza, legata alla certezza del “niente” dopo la morte, e una ostinata ricerca di pienezza, quasi una attestazione ripetuta e continuamente rimarcata del NULLA dopo la vita e, nello stesso tempo, di un bisogno vitale di ricercare una qualche forma di NON-NULLA nei ricordi ( “Ma sentii anche che ricordare è un dovere verso i propri cari. E benché la ragione mi dicesse che i morti condividono l’insensibilità di tutte le cose, mi pareva che vite già concluse emanassero una sorta di vibrazione verso le generazioni successive, reclamando di non essere dimenticate. Come se solo la memoria dei posteri potesse assicurare loro una forma di sopravvivenza, mentre sarebbero destinate a sparire nel grande nulla quando nessuno si ricordasse più di loro. Pensai che la vera tomba di ogni essere umano è l’oblio” p.17); nell’arte ( “l’arte non è una gara al termine della quale si possa stilare una graduatoria. In questo campo chiunque riesca a far vibrare una corda nell’animo dell’osservatore, catturando una impressione o una sensazione che nessuno fino a quel momento aveva mai espresso, ha diritto ad un posto in quell’empireo, poiché ha prodotto qualcosa di irripetibile e, perciò stesso, di necessario” p. 275); nell’amore ( “Occhi senza voce / fragore bianco di nubi sui cespugli / marea di vento nelle valli / soli torrenziali disseccano le lacrime / dormono gli arbusti in un deserto senza orizzonti / la pietra tace / ma i tuoi occhi / oh i tuoi occhi / i tuoi occhi” p. 174); nella politica ( “Ogni passione politica, oltre al suo senso specifico, ne ha un altro occulto: l’illusione di poter travalicare i limiti della propria esistenza individuale, trascendendone l’umana finitezza ed esorcizzando la morte” p. 289).

E’ così che mi pare proceda Federico in questo suo continuo voltarsi indietro per recuperare la trama della sua esistenza; e nel tessere la sua tela appare onesto oltre ogni misura. Il ritratto che fa di sé al lettore è disarmante per la sincerità con la quale si mostra senza veli proponendosi in tutta la sua limitatezza di essere umano attanagliato dalla finitudine dell’esistere. Racconta le sue angosce oniriche, dell’ansia che diveniva a volte inarrestabile, di episodi di depressione, di lacerazioni interiori che gli procureranno durante tutta la vita un senso di perenne irrequietezza “spossante”, vissuti però “nell’attesa di una pienezza dell’esistenza che non è arrivata mai. La bellezza del vivere l’avevo qualche volta intravista ma poi mi era sfuggita e non avevo potuto farci niente.” (p. 42)

Si attende ciò a cui, in qualche modo, si riconosce la possibilità di realizzazione, che si intuisce “ci sia”, aspettandolo a bracca spalancate, quel di più che non si ha ancora ma che si desidera ardentemente avere…

Anche l’esperienza scolastica lo conducono verso quel distacco interiore dall’istituzione-scuola per un bisogno di coltivare un “oltre” che l’insegnamento organizzato a tavolino e propinato da insegnanti il più delle volte inascoltabili per insensatezza di contenuti non è in grado di garantire.

Al fondo si intravede ancora quel desiderio di pienezza che lo porta a scegliere il “tutto” della conoscenza: “Tutto mi tenterà: l’arte e la letteratura, la storia e la filosofia, l’insegnamento e l’avvocatura, e infine la politica e in tutte queste attività riuscirò a fare, per così dire, qualche acuto. Sarò per tutta la vita avido di esperienze diverse al punto che l’abbandono di una sola di esse mi sarebbe apparso come la rinuncia alla piena espressione di me e l’accettazione di un impoverimento del mio spirito” (p. 50).

La prima parte del racconto biografico si inserisce all’interno di innumerevoli episodi che regalano al lettore uno spaccato della cultura del Meridione, riccamente descritta anche attraverso il ricorso a coloriti espressioni dialettali; il mondo contadino e quello piccolo-borghese si ritrovano a vivere le stesse miserie del duro lavoro, della ricerca dl riscatto sociale, della fatica del crescere i figli nel miglior modo possibile, della crudeltà della guerra e delle ingiustizie sociali.

Federico ha l’opportunità di trasferirsi a Roma per proseguire i suoi studi da collegiale: se da una parte vive, così, la terribile esperienza del distacco dal proprio contesto di origine, dalla famiglia, dagli affetti che sostengono e spronano con la sicurezza dell’ancora sempre a portata di mano, dall’altra l’esperienza romana rappresenta l’occasione nella quale un altro mondo si spalanca davanti ai suoi occhi, quasi un dilatarsi dell’orizzonte che non può che aumentare la passione per la vita in tutte le sue forme.

La seconda parte sembra snodarsi su due poli contrapposti: si apre con l’esperienza folgorante dell’amore per una donna e si chiude con una crisi esistenziale vissuta attraverso momenti di depressione.

La tensione, cioè, appare manifestarsi all’interno di una vita sognata, immaginata e, pertanto, fortemente vissuta fino ad un certo punto e  poi trasformata in routine quotidiana.

L’amore per una donna, dicevamo, lo apre all’esperienza della felicità: “Pochi sono i momenti di felicità nella vita di un uomo, ma uno di questi è quando si ha la rivelazione che la donna di cui ci si è innamorati contraccambia il nostro sentimento” (p. 170); ma nello stesso tempo è destinato a sperimentare la delusione per essere stato abbandonato e tradito da quello stesso amore.

I racconti dettagliati delle successive esperienze con altre donne, spesso prostitute, con esplicito riferimento ai momenti di intima unione, lasciano il lettore in una sorta di “sospensione del giudizio”, il quale sa di trovarsi di fronte ad una scena personalmente già vissuta e che, nel partecipare interiormente al ripetersi raccontato di un amplesso amoroso, rivive nella propria carne la ricchezza espressiva e comunicativa di una corporeità troppo spesso tacciata di essere esclusiva fonte di peccaminosità.

Una vita vissuta senza nulla tralasciare, nella spasmodica ricerca del “tutto”, rende possibile a Federico l’intima esperienza del “piacere” colto nella sua essenza di realtà contrapposta al dolore, alla sofferenza che, sempre ingiustamente, l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, è costretto a subire… ”e per la prima volta mi sentii completamente in pace col mondo, come se non avessi più nemici, né contrasti, né difficoltà e la mia vita fosse bella come mai lo era stata e un meraviglioso avvenire mi attendesse” (p. 195).

Federico appare davvero come un uomo che coltiva fin da piccolo grandi passioni, ideali, sogni che concretamente riesce ad incarnare nella realtà di tutti i giorni, nei vissuti, negli incontri, nelle scelte di vita.

Ad un certo punto, però, appare quasi risucchiato da quell’ingranaggio che ci vorrebbe tutti ben allineati all’interno di un sistema pregno di “normalità”, come incasellati secondo la logica del “così fanno tutti!”.

Una gravidanza improvvisa, la voglia di garantire un futuro sereno a colei che sarà la donna amata per tutta la vita, lo conducono a scelte meno passionali: un lavoro stabile e sicuro, che occupa a tempo pieno non lasciando molto tempo a disposizione per coltivare ancora quell’arte di guardare il mondo con gli occhi di un poeta o di un artista qualunque.

L’urlo è inevitabile: “Io mi chiedo perché non ho trovato il coraggio di fare fino in fondo una vita diversa” (p. 257).

Prima che scenda la notte Federico si accinge a lasciare la casa paterna, riempito dai ricordi che quel luogo aveva saputo ridestare.

Indubbiamente un uomo inquieto, con un grande animo artistico, passionale, vorace divoratore di esperienze di vita: tale mi appare dal ritratto che lui stesso dipinge.

Ma una caratteristica non comune riesco a scorgere riga dopo riga: una sorta di onestà intellettuale che gli fa dire ciò che è fino in fondo, senza quel timore che spesso porta l’essere umano ad imbellettarsi per apparire ciò che gli altri si aspettano di vedere.

 E quella stessa onestà, ora, ci aspettiamo che sappia guidarlo nella scelta di rendere pubblico un racconto che, chi scrive, garantisce essere di affascinante e coinvolgente bellezza.

Prima che scenda la notte, però…

 
M. Concetta Bomba
lunedì 26 marzo 2012
 

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