C’era una volta, e c’è ancora, un antico castello.
Non voglio raccontarvi una favola. Non voglio proporvi una di quelle fantastiche
storielle per bambini che hanno il potere magico di incantare occhi e mente con
immagini raccontate e ritratte dai colori accesi della fantasia.Ma a pensarci bene è una quasi-favola anche la mia!
Il castello ce l’abbiamo: è quello di Clervaux nel Lussemburgo.
Uno sperduto paesino che quando arrivi ti sale il dubbio di aver sbagliato treno.
Poi capisci che in un posto come quello è nascosta una favola in bianco e nero che inaspettatamente ti si impone, tuo malgrado.
Il protagonista è un fotografo lussemburghese, Edward Steichen, che dell’eroe delle favole aveva tutte le caratteristiche: idee ambiziose, caparbietà, forza di volontà, amore per l’essere umano.
E. Steichen riesce, in quasi tre anni, a raccogliere oltre due milioni di fotografie da ogni angolo della terra che richiamano ad un unico tema: l’uomo e la sua grande famiglia mondiale.
Qual è la “missione” che Steichen impone a se stesso e ai suoi collaboratori? Creare, come si fa, o meglio come si faceva prima dell’avvento del digitale, un grande album fotografico di famiglia che ne raccontasse la storia dall’inizio alla fine.
Detto così può apparire al quanto banale! In realtà l’album, alla fine, è venuto fuori composto da 503 fotografie di 273 fotografi di 68 paesi diversi: il contenitore è appunto il castello di cui si parlava. Ma ciò che più impressiona è la capacità di questo album di diventare, quando ci passi fisicamente dentro, una epifania di luce che non ha niente da invidiare al percorso che fecero i re Magi a suo tempo.
Questo per dire, e ribadire con forza, che la fede nell’umanità che anima Steichen è stata capace di fargli scrivere una parola profetica di speranza: chi entra in quelle sale, se ci va con l’atteggiamento di momentanea sospensione della caterva dei propri cliché, è invaso da un percorso da sfogliare pagina per pagina con la voglia di arrivare in fondo e scoprire come va a finire. Che poi è ciò di cui si ha bisogno: quell’ultima parola che ricapitola, quell’idea che amplia gli orizzonti, un messaggio dentro cui far stare la tua vita in sintonia con tutti gli altri.
Intanto dovete sapere che le dimensioni delle foto sono diversificate: la grandezza delle stampe varia da 24 x 36 cm a 300 x 400 cm e ciò non disturba affatto. Semmai crea dinamicità di percorso: si impone, richiama, fa entrare e sostare e poi sbalzare lo sguardo altrove e ti costringe ad avvicinare fino a toccare con la punta del naso…come accade nella realtà, che ti sbatte in faccia le sue infinite sfaccettature.
Il percorso, poi, è talmente semplice, poiché ripercorre l’esistenza di ognuno di noi, che ti meravigli di quanto questo “ovvio” diventi imbarazzante per il fatto che non sia riconosciuto come tale, che l’essere umano non sia guardato, accolto, abbracciato nello stesso modo in qualunque posto della terra.
C’è un inizio, in questo album, uguale per tutti, che parte da due che, in qualunque posto della terra, si innamorano; due che, con qualunque rito, si unisco e generano figli, che poi crescono nel gioco, nell’istruzione, con la musica, con lo sport, in compagnia o da soli, con amorevolezza o nelle prepotenze, negli agi o nella povertà, in Occidente o in Oriente. E le fotografie, sala dopo sala, ci parlano ed entrano in immediato contatto empatico con il visitatore, e si può vedere e sentire ciò che non siamo ma che terribilmente ci assomiglia.
Poi il viaggio dell’umanità continua con il lavoro di tutti i giorni, nei campi, in ufficio, come minatori o come costruttori, nelle vesti di schiavi o di padroni, tra fatiche e momenti di svago: si sa, c’è chi va a teatro e chi suona in solitario per strada.
E c’è la morte: naturale o imposta con violenza, il dolore, la disperazione, le mancanze, l’odio e la rassegnazione. E c’è la fede: la speranza di qualunque forma, l’inginocchiarsi e il tentare di capire.
Ma c’è sempre l’Uomo: ogni fotografia ritrae sempre l’Uomo.
Come è scritto all’inizio del percorso:
e il suo nome è Tutti gli Uomini.
C’è solo una donna nel mondo
e il suo nome è Tutte le Donne.
C’è solo un bambino nel mondo
e il nome del bambino è Tutti i Bambini.
Entri nell’ultima sala e vieni sommersa da foto di bambini festanti, allegri, quasi esageratamente felici, che ti scendono dall’alto, appesi a dei fili, da ogni lato, in modo quasi scomposto ed intrecciato da far girar la testa.
Il ritorno all’Infanzia è l’ultima parola: epifania di un tempo illuminato che sa solo di umanità non rinnegata.
E Dio disse, sia la luce.
Come ogni favola che si rispetti, la morale può sapere di
“utopico”.
A mio avviso è una questione “visiva”.- Globi di rosso, giallo, porpora.
- Un momento! E adesso?
- Mio padre e mia madre e le mie sorelle
- Sì. E adesso?
- Cavalieri in armi, belle donne, visi gentili.
- Provate questa.
- Un campo di grano - una città.
- Benissimo! E adesso?
- Una donna giovane e angeli chini su di lei.
- Una lente più forte! E adesso?
- Molte donne dagli occhi vivi e labbra schiuse.
- Provate queste.
- Soltanto un bicchiere sul tavolo.
- Oh, capisco! Provate questa lente!
- Soltanto uno spazio vuoto, non vedo nulla in particolare.
- Bene, adesso!
- Pini, un lago, un cielo d’estate.
- Questa va meglio. E adesso?
- Un libro.
- Leggetemi una pagina.
- Non posso. Gli occhi mi sfuggono al di là della pagina.
- Provate questa lente.
- Abissi d’aria.
- Ottima! E adesso?
- Luce, soltanto luce che trasforma il mondo in un giocattolo.
- Benissimo, faremo gli occhiali così.
(E. Lee Masters)
Maria Concetta Bomba
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