Febe, menzionata da Paolo (Rm 16,1), Olimpia, amica di Gregorio di Nissa e di Giovanni Crisostomo, Lampadia, amica della sorella di Gregorio di Nissa, Teosebia, moglie di Gregorio di Nissa, Radegonda, moglie del re dei Franchi Clotario I, Procula e Pentadia, in contatto epistolare col Crisostomo, Salvina, in contatto epistolare con Girolamo, Macrina, sorella di Basilio, Helaria, figlia di Remigio, Sofia di Gerusalemme, Teodora di Gallia, Attanasia di Delfi, Eneon di Gerusalemme: sono i nomi di alcune delle diaconesse del passato conosciute attraverso fonti storiche e letterarie. Non possono che rappresentare le numerose presenze femminili ordinate, delle quali non conosciamo i nomi e la storia.
La Chiesa primitiva, soprattutto in Oriente, ha ordinato per circa nove secoli delle donne al diaconato; citiamo il canone 15 del Concilio di Calcedonia: “Una donna non riceverà l’imposizione delle mani come diaconessa sotto i quarant’anni di età, e allora solamente dopo attenta verifica. E se, dopo che le sono state imposte le mani e ha continuato nel ministero per qualche tempo, ella dovesse disprezzare la grazia di Dio e dare sé stessa in matrimonio, ella e l’uomo a lei unitosi saranno scomunicati”. Rimane, dunque, come dato storico, l’ordinazione delle donne come prassi abituale, ufficialmente riconosciuta ed effettuata, nonostante i numerosi tentativi di ostacolarne il corso. Potremmo parlare, forse, di “boicottaggio” da parte di una certa mentalità che ha finito per attestare quella visione androcentrica che secoli di avanzamenti culturali non sono riusciti a debellare.
Cerchiamo di ripercorrere le motivazioni che nel tempo sono state avanzate per negare l’ordinazione femminile, non solo al diaconato e innanzitutto al presbiterato e bloccare quel movimento naturale di “servizio” nella pari dignità di uomo-donna proclamata da Paolo (Gal 3,27.28).
La prima argomentazione, fortemente sostenuta da pensatori come Tommaso d'Aquino e Bonaventura, è l’attestazione di uno stato d’inferiorità naturale delle donne! Fortunatamente, con il tempo, la si è ritenuta una motivazione piuttosto insufficiente e si è proceduti nella elaborazione di tre argomenti fondamentali: scritturali, tradizionali e antropologici.
1) Si attesta, dai Vangeli, che Gesù scelse liberamente come apostoli dodici uomini e questo fatto viene letto come esclusione esplicita delle donne, da parte di Gesù, dal sacerdozio. Come dire che tutto ciò che Gesù “non fece” deve essere trasformato in regola per la Chiesa futura: eppure “Gesù non fondò ordini o congregazioni. Egli non istituì le strutture attualmente presenti nella Chiesa - la curia romana, i concili ecumenici, le conferenze dei vescovi e così via. Non lasciò tutte queste decisioni alla sua Chiesa? Il silenzio rispetto a tali faccende implica forse disapprovazione?” (J. Wijngaards, Né Eva, nemmeno Maria, ed. La meridiana, 2002). E ancora: “È stato dimostrato che la Congregazione per la dottrina della fede non aveva seguito il garbato parere della Commissione biblica che le aveva presentato una relazione. Questa dichiarava, all’unanimità dei diciassette voti, che il Nuovo Testamento, da solo e di per sé, non permetteva di risolvere chiaramente, una volta per tutte il problema di un eventuale accesso delle donne al presbiterato. Cinque esperti contro dodici pensavano tuttavia che le Scritture contenessero sufficienti indicazioni per escludere tale possibilità, mentre dodici contro cinque si chiedevano se ordinare delle donne preti andrebbe veramente contro le intenzioni originali del Cristo” (A. Borras - B. Pottier, La grazia del diaconato, Cittadella Editrice, 2005)
2) L’argomento di tradizione si basa sulla constatazione che la Chiesa non ha mai, né in Occidente né in Oriente, ordinato delle donne prete. Ma, “una consuetudine, di per se stessa, per quanto protratta nel tempo, non prova nulla. Per diciannove secoli la Chiesa ha tollerato la schiavitù. Questo ha forse provato che la schiavitù apparteneva alla tradizione?” (J. Wijngaards, cit.). Tra l’altro i fatti dimostrano il contrario: abbiamo elencato, all’inizio di questo articolo, i nomi di alcune donne che, nel primo millennio della storia della Chiesa, hanno ricevuto il sacramento dell’ordinazione diaconale.
3) Diverse sono le motivazioni di ordine antropologico, simbolico o spirituale, riassumibili nella sottolineatura dell’identità maschile di Cristo che, in quanto tale, può essere rappresentato in pienezza solo ed esclusivamente dalla componente “maschio” dell’umanità. Se ci trovassimo di fronte ad una rappresentazione teatrale, una donna non potrebbe assumere il ruolo di Cristo. Ma il prete: “non rappresenta il Cristo se non perché rappresenta la Chiesa a motivo della sua ordinazione. È l’ordinazione che fonda dogmaticamente la rappresentazione e non la similitudine di sesso col Cristo.” (P. Legrand, citato in Borras-Pottier).
Per concludere, ci piace leggere e far propria l’immagine della Chiesa presentata da Borras e Pottier nel loro saggio sul diaconato, una visione che poggia sulla complementarità dei tre ministeri ordinati: vescovi, preti e diaconi, insieme, rappresentano il Cristo sotto i suoi molteplici aspetti. “Proponiamo di abbandonare una concezione lineare che subordina il diacono al prete e il prete al vescovo, per pensare una triangolarità complementare, una dissimmetria nuova… nessuno può essere ciò che è senza gli altri due, ed è insieme che essi rendono presente la persona del Cristo in tutta la sua pienezza”. Ci dispiace notare solo che all’interno di questa “ecclesiologia pneumatica” non ci sia posto per possibili ministeri ordinati al femminile.
Ci dispiace che le donne siano relegate ai margini di una organizzazione che pur sa esprimersi con tanta ricchezza di servizi. Ma soprattutto ci dispiace dover assistere passivamente al tradimento della Buona Notizia dell’amore di Dio per tutti, uomini e donne, senza alcuna eccezione, senza alcuna discriminazione.
Nella diaconia, segno di Cristo-servo, ci auspichiamo che l’umanità nuova incarnata dal Cristo, nella quale “non c’è più Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio né femmina: perché tutti voi siete una cosa sola” (Gal. 3,27-28), sia, un giorno, pienamente riconosciuta.
MARIA CONCETTA BOMBA ocds
La Chiesa primitiva, soprattutto in Oriente, ha ordinato per circa nove secoli delle donne al diaconato; citiamo il canone 15 del Concilio di Calcedonia: “Una donna non riceverà l’imposizione delle mani come diaconessa sotto i quarant’anni di età, e allora solamente dopo attenta verifica. E se, dopo che le sono state imposte le mani e ha continuato nel ministero per qualche tempo, ella dovesse disprezzare la grazia di Dio e dare sé stessa in matrimonio, ella e l’uomo a lei unitosi saranno scomunicati”. Rimane, dunque, come dato storico, l’ordinazione delle donne come prassi abituale, ufficialmente riconosciuta ed effettuata, nonostante i numerosi tentativi di ostacolarne il corso. Potremmo parlare, forse, di “boicottaggio” da parte di una certa mentalità che ha finito per attestare quella visione androcentrica che secoli di avanzamenti culturali non sono riusciti a debellare.
Cerchiamo di ripercorrere le motivazioni che nel tempo sono state avanzate per negare l’ordinazione femminile, non solo al diaconato e innanzitutto al presbiterato e bloccare quel movimento naturale di “servizio” nella pari dignità di uomo-donna proclamata da Paolo (Gal 3,27.28).
La prima argomentazione, fortemente sostenuta da pensatori come Tommaso d'Aquino e Bonaventura, è l’attestazione di uno stato d’inferiorità naturale delle donne! Fortunatamente, con il tempo, la si è ritenuta una motivazione piuttosto insufficiente e si è proceduti nella elaborazione di tre argomenti fondamentali: scritturali, tradizionali e antropologici.
1) Si attesta, dai Vangeli, che Gesù scelse liberamente come apostoli dodici uomini e questo fatto viene letto come esclusione esplicita delle donne, da parte di Gesù, dal sacerdozio. Come dire che tutto ciò che Gesù “non fece” deve essere trasformato in regola per la Chiesa futura: eppure “Gesù non fondò ordini o congregazioni. Egli non istituì le strutture attualmente presenti nella Chiesa - la curia romana, i concili ecumenici, le conferenze dei vescovi e così via. Non lasciò tutte queste decisioni alla sua Chiesa? Il silenzio rispetto a tali faccende implica forse disapprovazione?” (J. Wijngaards, Né Eva, nemmeno Maria, ed. La meridiana, 2002). E ancora: “È stato dimostrato che la Congregazione per la dottrina della fede non aveva seguito il garbato parere della Commissione biblica che le aveva presentato una relazione. Questa dichiarava, all’unanimità dei diciassette voti, che il Nuovo Testamento, da solo e di per sé, non permetteva di risolvere chiaramente, una volta per tutte il problema di un eventuale accesso delle donne al presbiterato. Cinque esperti contro dodici pensavano tuttavia che le Scritture contenessero sufficienti indicazioni per escludere tale possibilità, mentre dodici contro cinque si chiedevano se ordinare delle donne preti andrebbe veramente contro le intenzioni originali del Cristo” (A. Borras - B. Pottier, La grazia del diaconato, Cittadella Editrice, 2005)
2) L’argomento di tradizione si basa sulla constatazione che la Chiesa non ha mai, né in Occidente né in Oriente, ordinato delle donne prete. Ma, “una consuetudine, di per se stessa, per quanto protratta nel tempo, non prova nulla. Per diciannove secoli la Chiesa ha tollerato la schiavitù. Questo ha forse provato che la schiavitù apparteneva alla tradizione?” (J. Wijngaards, cit.). Tra l’altro i fatti dimostrano il contrario: abbiamo elencato, all’inizio di questo articolo, i nomi di alcune donne che, nel primo millennio della storia della Chiesa, hanno ricevuto il sacramento dell’ordinazione diaconale.
3) Diverse sono le motivazioni di ordine antropologico, simbolico o spirituale, riassumibili nella sottolineatura dell’identità maschile di Cristo che, in quanto tale, può essere rappresentato in pienezza solo ed esclusivamente dalla componente “maschio” dell’umanità. Se ci trovassimo di fronte ad una rappresentazione teatrale, una donna non potrebbe assumere il ruolo di Cristo. Ma il prete: “non rappresenta il Cristo se non perché rappresenta la Chiesa a motivo della sua ordinazione. È l’ordinazione che fonda dogmaticamente la rappresentazione e non la similitudine di sesso col Cristo.” (P. Legrand, citato in Borras-Pottier).
Per concludere, ci piace leggere e far propria l’immagine della Chiesa presentata da Borras e Pottier nel loro saggio sul diaconato, una visione che poggia sulla complementarità dei tre ministeri ordinati: vescovi, preti e diaconi, insieme, rappresentano il Cristo sotto i suoi molteplici aspetti. “Proponiamo di abbandonare una concezione lineare che subordina il diacono al prete e il prete al vescovo, per pensare una triangolarità complementare, una dissimmetria nuova… nessuno può essere ciò che è senza gli altri due, ed è insieme che essi rendono presente la persona del Cristo in tutta la sua pienezza”. Ci dispiace notare solo che all’interno di questa “ecclesiologia pneumatica” non ci sia posto per possibili ministeri ordinati al femminile.
Ci dispiace che le donne siano relegate ai margini di una organizzazione che pur sa esprimersi con tanta ricchezza di servizi. Ma soprattutto ci dispiace dover assistere passivamente al tradimento della Buona Notizia dell’amore di Dio per tutti, uomini e donne, senza alcuna eccezione, senza alcuna discriminazione.
Nella diaconia, segno di Cristo-servo, ci auspichiamo che l’umanità nuova incarnata dal Cristo, nella quale “non c’è più Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio né femmina: perché tutti voi siete una cosa sola” (Gal. 3,27-28), sia, un giorno, pienamente riconosciuta.
MARIA CONCETTA BOMBA ocds
Commenti
Posta un commento