Nel tempo...


Ancora un 31 dicembre, un altro; ancora una fine che segna un nuovo inizio, un ricominciare daccapo ciò che si è già vissuto ripetutamente nel tempo precedente, ma che pur lo si affronta come possibilità di un tempo di nuova specie.
Se tutto ritorna, le stesse cose di prima non possono mai più essere come prima: tornano, ogni volta, come infinita possibilità di divenire ciò che non sono mai state prima. Ma non in quanto le cose passate non abbiano alcun valore; ciò che è stato, pur se accompagnato da una insopprimibile sensazione di inconsistenza, di vacuità, è “tempo vissuto” e, in quanto tale, mai tempo “perso”.
Basterebbe entrare nell’ottica del tempo che “irrompe” nella propria vita trascinandoci al suo interno in un processo di metamorfosi continua che, eliminando la distinzione tra un passato rimpianto o rinnegato, un presente appagante o deludente, ed un futuro desiderato o minaccioso, rende eterno l’istante di un “adesso” non più frantumato.
C’è un tempo per mangiare, ed uno per lavorare; un tempo per seminare ed un altro per raccogliere; un tempo per piangere ed uno per gioire (cfr. Qo 3,1-8): c’è sempre tempo che chiede, ogni volta, di essere accolto e vissuto in pienezza.
Eppure, per molti di noi, è naturale giungere al termine di ogni anno con la voglia di seppellire un passato sempre troppo ingombrante: un carico di delusioni, sconfitte, fallimenti, errori che affastellano il pensiero di ricordi tali da formare, il più delle volte, una zavorra che pesa e condiziona quell’incedere a testa alta!
Pensiamo, e a torto, che tutto ciò che è stato debba condizionare irrimediabilmente ogni passo successivo; restiamo ancorati alla tirannia di un passato che ci perseguita e ci schiavizza: e non riusciamo ad intravedere vie di uscita.
Allo stesso tempo, però, può accadere che si pensi al futuro, al tempo che ha ancora da venire, come a quell’ancora da conquistare per arrestarci, finalmente, in un porto sicuro.
Tra un passato ripudiato ed un futuro sognato, rimaniamo come cadaveri imputriditi a disfare ogni brandello di vita di cui è carico l’attimo presente!
“Ecco, sto alla porta e busso”(Ap 3,20): è quella stessa forza vitale che chiede di irrompere nel tempo e attende di essere lasciato entrare, in ogni istante, per trasformare “l’ora” in un incontro sempre nuovo di Vita che accresce la nostra vita.
Siamo troppo abituati a manipolare il tempo, a dominarlo, a piegarlo ai nostri miseri progetti personali: e finisce per sfuggirci di mano, inevitabilmente; finisce per opprimerci in una corsa senza fine verso mete inafferrabili.
“Adesso” è il tempo; “ora”, qualunque cosa ci ritroviamo a fare, è il momento da cogliere e vivere: “Quando mangi, mangia e se possibile non leggere il giornale! Quando fai una passeggiata, passeggia, apri tutti i tuoi sensi, sorseggia la bellezza della natura e non vivere nei tuoi pensieri! Se ascolti il tuo prossimo, ascolta e non pensare a che cosa devi rispondere. Quando dormi, dormi meglio che puoi e non rimuginare sugli errori del giorno passato. Fa’ una cosa dopo l’altra! Ogni cosa ha il suo tempo. Lascia che tra le varie attività ci siano dei confini netti, chiari. Impegnati completamente in ciò che stai facendo e abbandonalo completamente quando inizi qualcos’altro. Non dovremmo mai avere la sensazione di avere ‘molto’ da fare. In questo momento specifico abbiamo soltanto una cosa da fare. Non dobbiamo preoccuparci del momento seguente. A ogni momento basta la sua pena (cfr. Mt 6,34)” (W. Stinissen).
E nel vivere ogni attimo come occasione di pienezza “ricevuta”, in un trasporto di gratitudine, ogni atto si trasforma in gesto ri-donato, “offerto” ad un altro, chiunque esso sia, per amore della stessa Vita che dona.
“In eterno resta mio ciò che Ti ho donato” (R. Tagore)!
Un augurio, allora, per l’anno che viene?
Che sia “ora”…che sia “per sempre”…che sia un “per te”…

M. Concetta Bomba ocds

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