SGUARDO FOTOGRAFICO


Appendice di  un primo percorso guidato…


Lo scatto viene facile di questi tempi: il bombardamento mediatico di immagini catturate e gettate, con un immediato gesto istintivo, nel rassicurante calderone del web, fa l’occhiolino anche a chi, di fotografia, non gliene può importare di meno. Ti ritrovi tra le mani, tuo malgrado (poiché la tecnologia ti punta, ti seduce e ti incatena) qualche marchingegno di inarrestabile potenza attrattiva e, tra le sue funzioni, ci trovi pure quella in grado di fissare per sempre ciò che passa sotto i tuoi occhi. Niente male, fino a qui!
Il punto è che, il più delle volte, la realtà piange e si dispera, offesa da infiniti scatti “muti”, che non dicono e non svelano alcunché.
Per carità, anch’io faccio parte di quella schiera di camminatori fotografanti con il “clic” facile incorporato…
Ad un certo punto, però, si è reso necessario un movimento di arresto-forzato di riflessione: sicuramente guidata da chi ne sa più di me ( e ne sa per esperienza, passione e coscienza professionale), sta di fatto che, la realtà tangibile, di colpo, ha incominciato ad attirare prepotentemente la mia attenzione. 
C’è un prima e un dopo nel mio modo di fotografare: il prima è dato da una voglia incontenibile di “fissare” esperienze vissute (paura di perdere l’attimo!), con a fuoco il mio “io”, non inteso come “mio” punto di vista, ma come “soggetto” centrale che vede, vive e si piazza dentro la foto, anche se in modo non visibile; dopo, all’improvviso, quasi inaspettatamente, balza fuori la realtà che ti scansa e ti pone da parte per rammentarti che l’altro, ciò che hai di fronte, che sia un qualcuno o un qualcosa poco importa, “parla”, dice e silenziosamente comunica con ogni particolare delle sue fattezze.
Allora quel “dopo” ti scuote, ti tira fuori dal tuo naturale atteggiamento di egoità e ti sprona ad entrare in dialogo empatico con tutto ciò che ti circonda.
Ne nasce un peregrinare tra le strade che, costantemente e tuo malgrado, diviene un continuo atto di contemplazione di nuova specie.
Ed è così che fotografare diviene un percorso di vita, un cammino fatto di coinvolgimento di più fattori che spaziano da quelli tecnici a quelli più umani.
Puoi anche non fotografare nulla, ma intanto guarda, cammina, girati intorno e fissa lo sguardo; analizza, interroga, ascolta e aspetta. Poi entra in dialogo, comunica, senti e sentiti, scopri e ri-trova: fermati. E meravigliati, scuotiti, fa salire le emozioni, accoglile, gettale nel reale e poi contemplale. Infine sorridi, abbraccia, stringi senza mollare, dì grazie: se vuoi, se lo ritieni opportuno, scatta…

M .Concetta Bomba

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