E poi vai a Scanno!
Certo, sai da sempre che sta lì, bella, particolare, con il suo lago, le sue pietre, i suoi orafi, i suoi costumi.
Ma sai anche che in quel paesino ci sono donne, poche ormai, che si ostinano ad indossare lunghe e larghe gonne dallo sfondo rigorosamente nero (o perlomeno scuro al punto tale da non riuscire a distinguerlo a sufficienza dal nero!); donne alle quali stilisti e case di moda gli fanno un baffo, fiere come sono a rimanere fedeli fino alla morte ad una tradizione che le vuole vestite in quel modo, e in quel modo soltanto.
Capita, poi, che ti appassioni di fotografia: quella in bianco e nero ti seduce in modo particolare!
Henry Cartier Bresson lo vedi e ri-vedi, lo sfogli, ne analizzi i particolari stampati, ti sbalordisce, ti interroga, ti ossessiona e poi lo “copi”; e così lo cerchi e vai a Scanno.
Perché a Scanno Bresson ci è stato. E l’ha fotografata. L’ha fotografata in un modo che ogni fotografo, vero o presunto che sia, si mette lì a caccia di quelle prospettive immortalate dal Maestro, per riprodurle con testardaggine estrema.
Il turista apprezza senz’altro la bellezza del lago, con i suoi colori talmente accesi da sembrare irreali: il verde, il blu, l’azzurro, creano sfumature di un effetto accattivante.
Ma il fotografo corre subito su in paese. E va dritto in Piazza San Rocco. Tappa obbligata, per cominciare. Là trova una targa: come a dire “qui ci sono passati due grandi con la macchinetta fotografica al collo. Vedi se sai fare di meglio!”
Di meglio certamente non sai fare. Ciò nonostante sali caparbiamente quei gradini, ti posizioni esattamente come Bresson, scatti, controlli, scatti ancora, continui a confrontare, la tua foto, quella di Bresson, altri scatti…Sei deluso da quel che hai prodotto poiché la distanza dall’originale è abissale. E’ sempre abissale. Per chiunque. Continui il giro di Scanno, cerchi una, almeno una di quelle donne “vestite di nero”.
Ad un certo punto spunta fuori. Sempre, ad un certo punto, almeno una spunta fuori.
E si scatena un fuoco di “clik” talmente imbarazzante che quasi metteresti via la macchinetta per evitare di far parte di quella schiera di “invasori” fotografanti.
La realtà è che Scanno è bella esattamente come lo era agli occhi di Bresson. A prescindere da Bresson.
CIò che ti spinge ad andare, e ad andare ancora, innumerevoli volte, è quel sapore di “immortalità” che ormai la sovrasta: poco importa se le tue foto riproducono spaccati già visti e fotografati in mille salse.
Unico, rimane, lo sguardo che hai poggiato su ogni angolo: tuo, e solo tuo, è stato il percorso che ti ha mosso a ricerca di un rapporto intimo e personale.
Non da solo. A Scanno non cammini mai da solo.
Puoi starci fisicamente solo tu, ma non procedi solo.
Gli scatti visti ce li hai tutti negli occhi: ne hai piene le pupille. Ma non è un male.
E’ il “pieno” che ti porti dietro: e ti fa vedere quello che da solo non avresti visto; e ti fa trovare quello che altri non hanno visto ancora.
Certo, sai da sempre che sta lì, bella, particolare, con il suo lago, le sue pietre, i suoi orafi, i suoi costumi.
Ma sai anche che in quel paesino ci sono donne, poche ormai, che si ostinano ad indossare lunghe e larghe gonne dallo sfondo rigorosamente nero (o perlomeno scuro al punto tale da non riuscire a distinguerlo a sufficienza dal nero!); donne alle quali stilisti e case di moda gli fanno un baffo, fiere come sono a rimanere fedeli fino alla morte ad una tradizione che le vuole vestite in quel modo, e in quel modo soltanto.
Capita, poi, che ti appassioni di fotografia: quella in bianco e nero ti seduce in modo particolare!
Henry Cartier Bresson lo vedi e ri-vedi, lo sfogli, ne analizzi i particolari stampati, ti sbalordisce, ti interroga, ti ossessiona e poi lo “copi”; e così lo cerchi e vai a Scanno.
Perché a Scanno Bresson ci è stato. E l’ha fotografata. L’ha fotografata in un modo che ogni fotografo, vero o presunto che sia, si mette lì a caccia di quelle prospettive immortalate dal Maestro, per riprodurle con testardaggine estrema.
Il turista apprezza senz’altro la bellezza del lago, con i suoi colori talmente accesi da sembrare irreali: il verde, il blu, l’azzurro, creano sfumature di un effetto accattivante.
Ma il fotografo corre subito su in paese. E va dritto in Piazza San Rocco. Tappa obbligata, per cominciare. Là trova una targa: come a dire “qui ci sono passati due grandi con la macchinetta fotografica al collo. Vedi se sai fare di meglio!”
Di meglio certamente non sai fare. Ciò nonostante sali caparbiamente quei gradini, ti posizioni esattamente come Bresson, scatti, controlli, scatti ancora, continui a confrontare, la tua foto, quella di Bresson, altri scatti…Sei deluso da quel che hai prodotto poiché la distanza dall’originale è abissale. E’ sempre abissale. Per chiunque. Continui il giro di Scanno, cerchi una, almeno una di quelle donne “vestite di nero”.
Ad un certo punto spunta fuori. Sempre, ad un certo punto, almeno una spunta fuori.
E si scatena un fuoco di “clik” talmente imbarazzante che quasi metteresti via la macchinetta per evitare di far parte di quella schiera di “invasori” fotografanti.
La realtà è che Scanno è bella esattamente come lo era agli occhi di Bresson. A prescindere da Bresson.
CIò che ti spinge ad andare, e ad andare ancora, innumerevoli volte, è quel sapore di “immortalità” che ormai la sovrasta: poco importa se le tue foto riproducono spaccati già visti e fotografati in mille salse.
Unico, rimane, lo sguardo che hai poggiato su ogni angolo: tuo, e solo tuo, è stato il percorso che ti ha mosso a ricerca di un rapporto intimo e personale.
Non da solo. A Scanno non cammini mai da solo.
Puoi starci fisicamente solo tu, ma non procedi solo.
Gli scatti visti ce li hai tutti negli occhi: ne hai piene le pupille. Ma non è un male.
E’ il “pieno” che ti porti dietro: e ti fa vedere quello che da solo non avresti visto; e ti fa trovare quello che altri non hanno visto ancora.
Concetta Bomba
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