A leggere questo breve saggio si finisce per rimanere
meravigliati, una volta di più, dell’abilità di contraddizione che l’essere
umano è capace di esercitare su se stesso e sugli altri.
Nasce un bambino/a: lo si accudisce, lo si tiene stretto tra
le braccia e lo si nutre di cibo e non solo; gli si favorisce la crescita, lo
sviluppo, l’innalzamento interiore e lo si sostiene in questo processo di
trasformazione in fattezze da animale sociale.
Questo bambino/a che nasce non sa di appartenere alla
“specie umana”, non immagina nemmeno che possano essere poste delle differenze
all’interno dell’universo immenso degli esseri viventi.
Non lo sa, perché naturalmente è portato a guardare ciò che
lo circonda con quella semplicità che coglie similitudini, analogie, relazioni
ovunque, soprattutto, in modo eccelso,
con il mondo animale.
Dice bene l’autrice del saggio, Annamaria Manzoni, che noi
stessi, adulti contraddittori, favoriamo questo naturale bisogno di
incrementare un costante legame tra cuccioli di vario tipo.
Un cane, un gatto, un
canarino, o qualunque altro animale “domestico”, possono anche essere lasciati
fuori dalla propria abitazione per motivi di fastidioso ingombro, ma non si
lascia nessun bambino/a privo di costanti riferimenti ad un universo animale:
che siano orsetti, maialini, topolini, ecc., ci sono e ci sono in abbondanza
nelle decorazioni, tra i giochi, sugli oggetti di uso quotidiano, nei libri,
sui vestiti, nei racconti, nella fantasia, nel vissuto giornaliero.
Beh sì, tra cuccioli ci si intende.
E la mamma, il papà, i nonni, gli zii, le maestre, i medici
(qualche volta), lo sanno e ne tengono conto.
Se non fosse che , poi, crescendo, qualcuno, gli stessi che
si sono prodigati per buttare altra legna nel fuoco di questo naturale legame
amicale, finiscano per imporre le regole del “gioco dell’educazione” che pian
piano incomincia ad inserire una sottile linea di demarcazione tra le specie.
Pian piano il proprio compagno di gioco diviene “diverso” e
con tale diversità si scatena la sottolineatura forzata di quella inferiorità
che produce violenza e soprusi nei
confronti di tutto ciò che viene considerato più debole e più indifeso.
Si comincia delicatamente, con uno spettacolo circense (e si
trova naturale che gli animali siano soggiogati), poi la visita ad uno zoo
(niente di male che siano imprigionati); “ma
questo sarebbe ancora nulla se la cornice culturale in cui ci si muove non
considerasse assolutamente normale uccidere gli animali a scopo alimentare:
quindi guarda pure, bambino, quanto è dolce la mucca con il suo vitellino, che
anche lui sembra proprio un bambino con la sua mamma; dai, andiamo a vedere
come sono graziosi i maialini! E cosa c’è di più tenero degli agnellini? Dopo
di che ce li mangiamo tutti con serena indifferenza: perché si può amare e
uccidere l’oggetto del nostro amore, apprezzare e incrudelire contro.” (A.Manzoni, Tra cuccioli ci si intende,GRAPHE.IT)
Inutile negarlo, siamo una “specie” impastata di
contraddittorietà.
Lo sappiamo: di alibi a testimonianza della nostra mania di
dominare sul più facilmente dominabile ne creiamo a dismisura.
Ce lo diciamo, e ce ne convinciamo facilmente, che siamo
situati su un gradino superiore, che la nostra intelligenza ci pone all’apice
di una ipotetica piramide come signori incontrastati dell’intero universo con
tutti i suoi componenti.
Eppure tra cuccioli ci si intende.
Eppure tra adulti si creano baratri di incomunicabilità. E
gli animali finiscono per essere relegati nei “mattatoi” della società opulenta
come carne da macello da mangiare o semplicemente da perseguitare per
compiacimento personale.
Non ci resta che tornare ad essere come bambini, ma siccome
non lo sappiamo fare, non ci resta che tornare a empatizzare come i bambini.
“Il bambino non si
meraviglia che nelle favole gli animali pensino e parlino”. (Freud, cit. inA. Manzoni, Tra cuccioli ci si intende,ed. GRAPHE.IT)
M. Concetta Bomba
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