Accidenti! Stai lì, improvvisamente immobile che
inaspettatamente ti si è posto dinanzi allo sguardo un evento. Ma di
quell’evento non eri informata. E’ uno di quegli eventi che, per il percorso
che hai fatto negli ultimi mesi, ti tocca: e ti tocca talmente tanto che,
prima, non lo avresti mai detto.
Una mostra fotografica, una semplice e maledettamente
tagliente mostra fotografica.
Qualche mese fa non ti avrebbe nemmeno fatto l’occhiolino, o
perlomeno, non ti saresti nemmeno accorta che stava lì, invitante e ammiccante
com’è qualunque manifesto pubblicitario che ci prova, e ci prova sempre, con il
passante di turno.
Allora, dicevo, stai lì in uno stato di sospensione.
In una frazione di secondo ci vedi, lì dentro, proprio
dentro quel cavolo di stendardo pubblicitario, la tua recente passione, la
voglia di calibrarla sul tuo vissuto, lo sforzo di impararne le tecniche, le
imprecazioni per riuscire a gestirla nella sua pienezza, quel senso di fascino
e di incompiutezza che convivono dentro ogni scatto che hai nella mente ma che,
il più delle volte, non riesci a realizzare.
Allora stai lì, immobile.
Banalmente prendi il cellulare e fermi quella immagine che
hai di fronte a te e che ti ha bloccato respiro e movimenti corporei per
qualche secondo.
Finisci per fare il gesto più banale e stupido, ma
tremendamente necessario, che ogni volta fai, di fronte ad ogni ammiccamento
della realtà.
Condividi.
Poiché, purtroppo, non ce la fai a tenerlo per te.
Purtroppo.
Non se ne capisce il motivo, ma ti si scatena
improvvisamente il bisogno di comunicare a qualcuno (non a tutti!) quell’attimo
di divino stordimento che ti è capitato.
Bastava fermarsi a ragionare due secondi, solamente due
benedetti secondi: quel tanto che sarebbe bastato per entrare in dialogo con la
propria mente e chiedersi e rispondersi del perché della necessità impellente
di un gesto condiviso.
L’altro: colui/colei che sai che ci sta.
Un vissuto: un’esperienza esclusivamente tua, circoscritta
dentro il raggio della tua individualità.
Condivisione: bisogno di dilatare il proprio spazio vitale
fino a farlo “toccare” con lo spazio vitale dell’altro (che sai che ci sta).
Affascinante filo che cerca di unire me che sono qui,
distante chilometri e chilometri da casa, con l’altro che sta tranquillamente
vivendo la sua giornata, ignaro di quella ondata di emozioni e pensieri che,
mio malgrado, mi sta travolgendo.
Il rischio è uno solo: l’attesa.
Cavoli!
Decido di non tenermi per me sola il flusso di queste
sensazioni, emozioni, pensieri vaghi, ma non valuti il rischio che l’altro ne
possa rimanere totalmente indifferente.
Suo malgrado.
E ne segue un gesto mancato.
Da tutto questo nasce la mia riflessione delirante.
Ora.
Avvenimento emblematico, uno dei tanti, che di gesti mancati
ne riceviamo e ne elargiamo in abbondanza.
Poco importa.
Leggi.
E trovi la parola che è destinata a te.
Sempre.
Quella parola che volevi sentire e che ci sta, sempre, da qualche
parte.
Dei gesti donati…
Dei gesti mancati…
Dell’altro e del suo sguardo…
“L’umano è quel
vivente che, per sopravvivere (psicologicamente, ma non solo), ha bisogno di
essere protetto, di essere amato: in sostanza, di essere guardato. Quando
quello sguardo manca, allora è impossibile resistere. «L’Altro», dice Lacan nel
Seminario X, dedicato ad un grande affetto animalesco, l’angoscia, «è colui che
mi vede». Questo Altro che mi vede è doppiamente angoscioso: per un verso è
angoscioso perché mi vede,quindi mi segue, mi controlla, mi toglie l’aria. Ma è
angoscioso anche per il timore opposto che smetta di vedermi, lasciandomi solo,
indifeso, privo di amore. C’è angoscia perché mi guarda, ma anche perché
potrebbe non guardarmi più…L’Altro è un pericolo, sempre: quando c’è,
semplicemente perché è di per sé pericoloso, ma anche quando non c’è, perché
allora sono io in pericolo, perché senza quello sguardo letteralmente smetto di
esistere. Ho bisogno di quello sguardo, per sapere chi sono, perché senza di esso
non riesco nemmeno a scorgere «la mia immagine nello specchio»”.(Felice
Cimatti, Animalità e desiderio, in Animot. L’altra filosofia, anno I,
numero 1, giugno 2014, GRAPHE.IT)
M. Concetta Bomba
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