Detto meglio: dal momento che le parole della consacrazione possono essere pronunciate esclusivamente da un prete ordinato, laddove la presenza di preti ordinati scarseggia, l’Eucaristia non si celebra; e se non si celebra l’Eucaristia, la comunità dei fedeli non può costituirsi nel condividere il pane e il vino intorno ad una stessa mensa. Non può, giacché il gesto concreto dello “spezzare il pane” insieme, che è il segno di una vita donata in pienezza ad imitazione di Dio, presente, nella comunità radunata, nella persona di Gesù di Nazareth, viene negato per preservare la prerogativa esclusiva dei preti di pronunciare le parole della consacrazione. Eppure “la comunità chiede a coloro che presiedono di compiere i gesti liturgici e li affida a loro. Non si può affermare che il ministro, con l’ordinazione, riceva il potere di fare qualcosa che gli altri non sono in grado di fare. E’ una forma di responsabilità, piuttosto che di potere, quella che la comunità affida loro, perché agiscano per conto di tutti e in nome di tutti. I leader nella comunità quindi sono come sollevati per un momento al di sopra di se stessi dalla comunità. Per un momento si allontanano da loro stessi in modo da diventare la personificazione, la mano e la voce della comunità. Il gesto liturgico quindi è esclusivo, ma non in misura tale da conferire potere o diventare eccezionale. Non è fatto ‘con la vostra esclusione’, ma ‘includendo voi, grazie a voi e per conto vostro’“. E che in passato non vigesse una concezione “piramidale”, tale da rendere il ministro ordinato portatore di poteri soprannaturali al punto da distinguerlo dalla base laicale, è testimoniato dalla scelta di Pietro, uomo sposato, e dall’ordinazione di numerose “diaconesse”. Il Concilio Vaticano II, con l’inserimento di un nuovo capitolo nella Costituzione “Lumen Gentium” dal titolo “Il popolo di Dio”, stabilì che “il popolo e la salvezza del popolo” fossero l’ obiettivo fondamentale della comunità ecclesiale, relegando in secondo piano, in base allo stesso un ordine di trattazione, la “gerarchia” nel suo compito di orientarsi sempre più verso la comunità stessa, al suo servizio, secondo l’antica tradizione della Chiesa. Non fa specie che una tale rinnovata visione abbia avuto vita difficile e che sia stata celermente accantonata. Ma il problema rimane! Resta l’emergenza dovuta alla penuria di preti; resta l’impossibilità, per svariate comunità, di celebrare l’Eucaristia; resta la difficoltà da parte della gerarchia di riconoscere una capacità di “direzione” ai laici e, in modo particolare, alle donne. “E’ vero che nella nostra società occidentale le persone non sposate sono intrinsecamente più adatte di quelle sposate a dirigere e ispirare la comunità di fede? E che nella nostra cultura occidentale gli uomini sono intrinsecamente più adatti delle donne a ispirare e guidare una comunità cristiana? La nostra risposta, e quella di molti altri credenti, è, per entrambe le domande, un inequivocabile ‘No’ “. Qual è, allora, la proposta caldeggiata dalla Commissione che ha studiato il problema? “Coloro che presiedono le celebrazioni dovrebbero essere membri ispirati delle comunità in questione. Che siano uomini o donne, omo o eterosessuali, sposati o non sposati è irrilevante. Ciò che interessa è se la loro fede sia o no di ispirazione e di stimolo”.
("Chiesa e ministero", Documento dei domenicani olandesi sul problema del ministero e della celebrazione dell’Eucaristia)
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