"Per l'uomo intento a raggiungere i suoi scopi - sia l'homo faber, l'homo oeconomicus oppure l'uomo digitale - il silenzio è una zona oscura, un vuoto angoscioso da rigettare riempiendo di suoni e di rumori la mente e di attività e di impegni la giornata. Come la solitudine, lo spaesamento, l'insonnia, l'attesa, la noia, la malattia, il dolore, il silenzio è una delle forme della passività, dalla quale ci si tiene volentieri lontani. Evoca l'angoscia del nulla, suscita istintivamente il timore che vi si rispecchi una nullità, un'inconsistenza, un'irrilevanza del nostro essere. La conferma di quanto sia diffusa questa tendenza a considerare il silenzio uno straniero indesiderato sta nella rarità con cui, conseguentemente, è dato di trovare persone che abbiano il tempo, la disposizione e l'apertura necessari ad ascoltare, dato che l'ascolto vive appunto di silenzio". (R. Mancini, Il silenzio, via verso la vita, Ed. Qiqajon)
Parlare di silenzio, per noi abitanti della società del frastuono, significa entrare nel territorio dell'incomprensibile, nel luogo dove l'assenza di parole suscita smarrimento, sensazione di impotenza, desiderio di fuga: eppure nel silenzio "sta" il riconoscimento di un senso dell'esistenza, così come giunge dalle cose, dal reale, dalle situazioni, dalle persone, da quella concretezza contro la quale ci imbattiamo, nostro malgrado. Silenzio è atteggiamento di estremo rispetto di questa concretezza di vita dentro l'atto di rinuncia alla personale attutudine, presuntuosa ed arrogante, a rendersi interpreti onniscienti di ciò che ci accade; il silenzio è contemplazione di un volto "altro" dentro le situazioni della quotidianità.
Ciò presuppone la capacità di "stare" dentro gli eventi, di non eluderli e di sperimentarvi l'incontro trasformante. Abbiamo la tendenza a classificare situazioni, eventi, persone in una sorta di lista a due colonne: da un lato poniamo tutto ciò che reputiamo opportuno affrontare e dall'altro tutto ciò che ci sembra opportuno tenere a distanza. Decidiamo continuamente nei confronti di chi e di che cosa attuare una qualche forma di comunicazione e, viceversa, verso chi e che cosa porsi con chiusura comunicativa: silenzi che ci imponiamo, che recidono relazioni, presenze e, con esse, una parte del nostro essere.
Semmai, è l'ostinata ricerca di una significazione ultima di tutto ciò che si invera in noi e intorno a noi a condurre nel ventre del silenzio, in quell'arrestarsi di ogni proposito interpretativo limitante, colti dall'abbraccio di un senso che tutto ricolloca in un orizzonte di estrema positività: un incontro con una Presenza che scardina i paletti delle recinzioni che andiamo costruendo lungo il nostro cammino. Incarnare il silenzio è realizzare una sorta di epochè, di messa tra parentesi delle certezze già costruite e assimilate, di sospensione del giudizio preconcetto sul mondo, per trasformarsi in "possibilità" di accoglienza di un mistero incarnato; silenzio è atteggiamento orante coltivato nella solitudine della propria condizione esistenziale e vissuto dentro gli eventi della vita nell'implorante attesa della verità che fedelmente si svela.
Il silenzio non è assenza di parole, semmai è il luogo dove le parole acquistano una valenza comunicativa nuova, divenendo dialogo amoroso attraverso l'accoglienza e l'ascolto dei volti e delle situazioni dentro i quali un Altro ci si pone di fronte...
M. Concetta Bomba
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