O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente per stabilirmi in te, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell'eternità. Che nulla possa turbare la mia pace,né farmi uscire da te, o mio Immutabile , ma che ogni minuto mi porti più addentro nella profondità del tuo Mistero.
Pacifica la mia anima, fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che non ti ci lasci mai solo, ma che sia là tutta intera, tutta desta nella mia fede, tutta adorante, tutta abbandonata alla tua Azione creatrice.
O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa del tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti... fino a morirne! Ma sento la mia impotenza e ti chiedo di "rivestirmi di te stesso", d’identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, d'invadermi di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua Vita. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore. O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio farmi tutta ammaestrabile, per imparare tutto da te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio fissarti sempre e rimanere sotto la tua grande luce; o mio Astro amato, affascinami perché io non possa più uscire dalla tua irradiazione.
O Fuoco consumante, Spirito d'amore, "scendi su di me", affinché si faccia nella mia anima come un'incarnazione del Verbo : che io sia per Lui una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi tutto il suo Mistero.
E tu, o Padre, chinati verso la tua povera piccola creatura, "coprila con la tua ombra", non vedere in lei che il "Prediletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze".
O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, mi abbandono a voi come una preda. Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in voi, nell’attesa di venire a contemplare nella vostra luce l'abisso delle vostre grandezze.
(Elisabetta della Trinità )
Elisabetta Catez nasce a Bourges, in Francia, il 18 luglio 1880. E’ attirata dalla spiritualità carmelitana ed esprime, ancora adolescente, il desiderio di far parte del Carmelo. La madre, che spera per lei un futuro luminoso come musicista, si oppone vivamente. A 21 anni, il 2 agosto 1901, può finalmente varcare la soglia della clausura, quel luogo che ha già incominciato a vivere nel segreto del suo cuore abbracciando la quotidianità che le veniva imposto: “Io sono ‘Elisabetta della Trinità’, cioè Elisabetta che scompare, che si perde, che si lascia invadere dai Tre”.
Ai suoi Tre rivolge una preghiera considerata tra le più belle e profonde fra quelle scritte alla Trinità. La compone il 21 novembre 1904 al termine di un periodo di ritiro, nel segreto della sua cella, su un foglietto di carta strappato da un quaderno, con il solo intento di fissare con la penna l’immensità d’amore che il colloquio ininterrotto con Dio-Uno le aveva ispirato. Lo conserva gelosamente nei suoi breviari per rinnovare quotidianamente il patto d’amore che la univa al suo Diletto.
La preghiera può essere suddivisa in cinque paragrafi.
Si rivolge inizialmente a Dio nell’unità delle Tre persone per chiedere il dono dell’unificazione interiore: “aiutami a dimenticarmi interamente per stabilirmi in te, immobile e quieta”, come le acque di un lago, estremamente ricettiva a lasciarsi prendere e portare in braccio, senza opposizioni, senza gli ostacoli delle turbolenze del cuore, di tutti quei moti, quei desideri, quelle inquietudini, quelle preoccupazioni che dividono e dilaniano nell’intimo. Elisabetta chiede di divenire immobile come “l’Immutabile”, il Dio fedele che continua le sue effusioni d’amore senza ripensamenti, senza tradimenti, senza condizionamenti: “che importa ciò che sentiamo? Lui è l’immutabile, colui che non cambia mai. T’ama oggi, come t’amava ieri, come t’amerà domani”.
Con questo desiderio nel cuore Elisabetta si rivolge al Figlio, a Cristo crocifisso per amore e chiede qualcosa in più della pacificazione interiore; Elisabetta si rivolge allo Sposo e il suo linguaggio si fa appassionato, libero di esprimere i propri limiti, le proprie miserie, le proprie mancanze, certa di un’unione che annulla gli abissi: “sento la mia impotenza e ti chiedo di rivestirmi di te stesso, d’identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima”. Quegli stessi pensieri, moti, desideri, preoccupazioni pacificati vogliono diventare, ora, di fronte a Cristo, gli stessi pensieri, moti, desideri, preoccupazioni di Gesù, perché “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. La preghiera a Cristo si apre con un triplice “vorrei” che può finalmente diventare per l’anima innamorata, nella certezza della vicinanza ininterrotta dell’Amato, un triplice “voglio” che con “determinata determinazione” ha trovato il sentiero e decide, pur “attraverso tutte le notti, tutti i moti, tutte le impotenze”, di non voltarsi mai più indietro.
Ed è così che si rivolge allo Spirito e lo implora affinché divenga una “umanità aggiunta” del Verbo; un di più di piedi, di mani, di occhi, di cuore, di mente che peregrina per il mondo e, ovunque, tocca, guarda, sente, parla, ama nella novità di una incarnazione sempre rinnovata.
Chiede al Padre di sostenerla con il suo Amore paterno, affinché possa compiacersi di lei, trasfigurata in Cristo, e possa elargire la sua perenne benedizione.
La preghiera si conclude come a cerchio: ritorna al punto di partenza, ai suoi Tre, totalmente abbandonata ad essi “come una preda” che ha scoperto “il cielo sulla terra”, lo spazio dove ogni cosa, ogni persona, ogni situazione ha trovato il suo punto di unione, il superamento di ogni divisione, di ogni lacerazione, di ogni disgregazione: “solo Dio basta!”, solo in Dio tutto è compreso e perfettamente amato.
MARIA CONCETTA BOMBA ocds
(per approfondimenti: Roberto Fornara, Abitare la tua casa. Elevazione alla Trinità di Elisabetta della Trinità, testo e commento, EDIZIONI MONASTERO SAN GIUSEPPE)
Pacifica la mia anima, fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che non ti ci lasci mai solo, ma che sia là tutta intera, tutta desta nella mia fede, tutta adorante, tutta abbandonata alla tua Azione creatrice.
O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa del tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti... fino a morirne! Ma sento la mia impotenza e ti chiedo di "rivestirmi di te stesso", d’identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, d'invadermi di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua Vita. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore. O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio farmi tutta ammaestrabile, per imparare tutto da te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio fissarti sempre e rimanere sotto la tua grande luce; o mio Astro amato, affascinami perché io non possa più uscire dalla tua irradiazione.
O Fuoco consumante, Spirito d'amore, "scendi su di me", affinché si faccia nella mia anima come un'incarnazione del Verbo : che io sia per Lui una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi tutto il suo Mistero.
E tu, o Padre, chinati verso la tua povera piccola creatura, "coprila con la tua ombra", non vedere in lei che il "Prediletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze".
O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, mi abbandono a voi come una preda. Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in voi, nell’attesa di venire a contemplare nella vostra luce l'abisso delle vostre grandezze.
(Elisabetta della Trinità )
Elisabetta Catez nasce a Bourges, in Francia, il 18 luglio 1880. E’ attirata dalla spiritualità carmelitana ed esprime, ancora adolescente, il desiderio di far parte del Carmelo. La madre, che spera per lei un futuro luminoso come musicista, si oppone vivamente. A 21 anni, il 2 agosto 1901, può finalmente varcare la soglia della clausura, quel luogo che ha già incominciato a vivere nel segreto del suo cuore abbracciando la quotidianità che le veniva imposto: “Io sono ‘Elisabetta della Trinità’, cioè Elisabetta che scompare, che si perde, che si lascia invadere dai Tre”.
Ai suoi Tre rivolge una preghiera considerata tra le più belle e profonde fra quelle scritte alla Trinità. La compone il 21 novembre 1904 al termine di un periodo di ritiro, nel segreto della sua cella, su un foglietto di carta strappato da un quaderno, con il solo intento di fissare con la penna l’immensità d’amore che il colloquio ininterrotto con Dio-Uno le aveva ispirato. Lo conserva gelosamente nei suoi breviari per rinnovare quotidianamente il patto d’amore che la univa al suo Diletto.
La preghiera può essere suddivisa in cinque paragrafi.
Si rivolge inizialmente a Dio nell’unità delle Tre persone per chiedere il dono dell’unificazione interiore: “aiutami a dimenticarmi interamente per stabilirmi in te, immobile e quieta”, come le acque di un lago, estremamente ricettiva a lasciarsi prendere e portare in braccio, senza opposizioni, senza gli ostacoli delle turbolenze del cuore, di tutti quei moti, quei desideri, quelle inquietudini, quelle preoccupazioni che dividono e dilaniano nell’intimo. Elisabetta chiede di divenire immobile come “l’Immutabile”, il Dio fedele che continua le sue effusioni d’amore senza ripensamenti, senza tradimenti, senza condizionamenti: “che importa ciò che sentiamo? Lui è l’immutabile, colui che non cambia mai. T’ama oggi, come t’amava ieri, come t’amerà domani”.
Con questo desiderio nel cuore Elisabetta si rivolge al Figlio, a Cristo crocifisso per amore e chiede qualcosa in più della pacificazione interiore; Elisabetta si rivolge allo Sposo e il suo linguaggio si fa appassionato, libero di esprimere i propri limiti, le proprie miserie, le proprie mancanze, certa di un’unione che annulla gli abissi: “sento la mia impotenza e ti chiedo di rivestirmi di te stesso, d’identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima”. Quegli stessi pensieri, moti, desideri, preoccupazioni pacificati vogliono diventare, ora, di fronte a Cristo, gli stessi pensieri, moti, desideri, preoccupazioni di Gesù, perché “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. La preghiera a Cristo si apre con un triplice “vorrei” che può finalmente diventare per l’anima innamorata, nella certezza della vicinanza ininterrotta dell’Amato, un triplice “voglio” che con “determinata determinazione” ha trovato il sentiero e decide, pur “attraverso tutte le notti, tutti i moti, tutte le impotenze”, di non voltarsi mai più indietro.
Ed è così che si rivolge allo Spirito e lo implora affinché divenga una “umanità aggiunta” del Verbo; un di più di piedi, di mani, di occhi, di cuore, di mente che peregrina per il mondo e, ovunque, tocca, guarda, sente, parla, ama nella novità di una incarnazione sempre rinnovata.
Chiede al Padre di sostenerla con il suo Amore paterno, affinché possa compiacersi di lei, trasfigurata in Cristo, e possa elargire la sua perenne benedizione.
La preghiera si conclude come a cerchio: ritorna al punto di partenza, ai suoi Tre, totalmente abbandonata ad essi “come una preda” che ha scoperto “il cielo sulla terra”, lo spazio dove ogni cosa, ogni persona, ogni situazione ha trovato il suo punto di unione, il superamento di ogni divisione, di ogni lacerazione, di ogni disgregazione: “solo Dio basta!”, solo in Dio tutto è compreso e perfettamente amato.
MARIA CONCETTA BOMBA ocds
(per approfondimenti: Roberto Fornara, Abitare la tua casa. Elevazione alla Trinità di Elisabetta della Trinità, testo e commento, EDIZIONI MONASTERO SAN GIUSEPPE)
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