Il sabato santo è giorno in cui la Chiesa non celebra l’eucaristia, ma “sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte” in attesa della celebrazione della “madre di tutte le veglie”, la Veglia pasquale.
Questo giorno è scandito unicamente dalla celebrazione della liturgia delle ore ed è particolarmente significativa al riguardo la seconda lettura dell’Ufficio delle letture, tratta da un’antica Omelia sul sabato santo (III secolo), in cui l’anonimo autore, con grande talento letterario e fervida immaginazione, descrive il dialogo tra Gesù, entrato nel regno dei morti, ed Adamo: “Oggi sulla terra c’è grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi….Svegliati, tu che dormi! Infatti io non ti ho creato perché rimanessi prigioniero dell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura”. L’evento qui descritto, la discesa agli inferi di Cristo, in cui alcuni padri della Chiesa hanno scorto il punto estremo della kenosi del Figlio di Dio, presuppone per una sua adeguata comprensione la fede nella resurrezione. Infatti – come ha scritto il teologo francese C. Duquoc - “la discesa agli inferi nel Credo apostolico non si separa dalla risurrezione, ma sottolinea al contrario la verità della vita nuova in Gesù poiché sottolinea la verità della sua morte”. Per Cristo dunque discendere agli inferi significa affrontare la morte sperando che questa sarà vinta dal Padre a vantaggio non solo del Figlio ma di tutta l’umanità, significa in altri termini “sperare contro ogni speranza che Dio affronterà l’irrimediabile”. Tale discesa “indica tanto la realtà della morte di Gesù quanto l’inaugurazione della sua vittoria sulla morte”. Difatti, proprio la “rappresentazione della discesa di Gesù nel regno della morte, non l’uscita dal sepolcro come in Occidente, è per le chiese orientali l’autentica icona pasquale. Nella discesa fra i morti e nella conseguente eliminazione di tutta la mancanza di relazioni dell’oscuro regno dei morti si manifesta, infatti, tutta la forza della potenza della risurrezione di Cristo. Anzi, per il grande teologo, Hans Urs von Balthasar questa discesa di Gesù nel regno della morte è addirittura il motivo più profondo della speranza universale. Il Figlio di Dio, essendo, infatti, penetrato proprio lì dove è il posto il peccatore, cioè nel luogo della mancanza di relazioni, della solitudine e della lontananza da Dio, abbraccia con il suo amore anche coloro che sono più lontani da Dio. In tal modo le pote degli inferi si spalancano, sono costrette ad aprirsi alla forza di Cristo che comunica una nuova vita e un nuovo futuro”(G. Greshake). Cristo ha sconfitto la morte mediante la sua morte che è essenzialmente solidarietà con la condizione dell’uomo fino alla condivisione del suo stato di morte. Secondo Karl Rahner “Gesù ha gustato il nostro stato di morte. Vi è disceso, ha toccato il fondo del nostro essere e si è sprofondato nel suo abisso incommensurabile. Poiché egli vi si lasciò andare abbandonandosi nelle mani del Padre suo, sperimentò l’ingresso nel mistero infinito di questo amore eterno come uno sprofondarsi in maniera anonima nelle tenebre della morte, nel vero stato di morte”. Da tale punto di vista il sabato santo è il giorno della speranza, poiché “confessare che Gesù è disceso agli inferi equivale a confessare un evento salvifico che illumina anche oggi la situazione dell’uomo davanti a Dio e lo distoglie dalla perdizione” (C. Duquoc). La liturgia bizantina invita in questo giorno al silenzio: “resti muto ogni mortale e stia con timore e tremore; non mediti alcunché di terreno”. Allora il sabato santo è per tutti noi un richiamo all’essenziale, alla contemplazione, fuggendo la chiacchiera quotidiana e l’affaccendamento mondano in cui non c’è posto per il silenzio dove rientrare in se stessi per consegnare la propria fragilità all’amore di Dio. Il sabato santo è traversato dalla domanda sul futuro, nel crollo di tutte le certezze, nell’apparente trionfo del male con la morte in croce di Gesù. Siamo dunque sollecitati in questo giorno ad una profonda riflessione sul senso del vivere e del morire. La morte è un evento che oggi si tende ad esorcizzare, a non prendere in considerazione. E’ la paura che spesso ci afferra di fronte alla percezione bruciante della finitudine umana, insuperabile dentro lo spazio della potenza manipolativa dispiegata dalla tecno-scienza e che si accompagna spesso all’incapacità di pensare un’ulteriorità rispetto all’ambito dell’empirico. Solo il mistero pasquale può aprire alla speranza, proprio quella speranza che in una società dominata dal mito dell’efficienza e in cui tutto è misurato sul metro del fare, del conseguire qualcosa, del produrre, è ritenuta inutile, vuota. Solo la fede nella risurrezione può illuminare le notti oscure della vita, la disperazione che finisce per sovrastarci quando ci scontriamo non solo con la caducità inscritta nella nostra carne ma anche con il male (politico, sociale, economico etc) che sembra dominare la scena del mondo. La disperazione mortale non può essere l’ultima parola sull’uomo, così come la violenza del potere non può essere il sigillo definitivo sul corso della storia. La memoria della Passione del Signore ci dona uno sguardo diverso sulle vicende umane, spingendoci alla solidarietà con gli uomini e i popoli crocifissi dall’impero del denaro e facendoci entrare nella loro passione fino al dono della vita, con la certezza che la notte del peccato è vinta dalla luce della Pasqua di Cristo e che il silenzio di Dio prelude alla Gloria della Parusia.
AMEDEO GUERRIERE
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