La voce del profeta...


RIFLESSIONE SUL VANGELO DELLA XIV DOMENICA DEL T. O. ANNO B

( Ez 2,2-5; Sal 122,1; 2; 3-4; 2 Cor 12,7-10; Mc 6,1-6)


Rinchiudere Dio dentro i nostri asfittici schemi ideologici è una tentazione cui soccombiamo spesso. Anche i concittadini di Gesù cedono a questa tentazione quando ritengono uno scandalo che Dio possa farsi vicino all’essere umano parlando ed operando in Gesù, un umile artigiano:”Non è costui il falegname, il figlio di Maria?”. Come è possibile – si chiedono i nazaretani - che l’inviato di Dio si presenti a noi in vesti così dimesse, senza poter saper chi è il padre, figlio di una ragazza madre, senza la nobiltà e la magnificenza che si addicono ad una tale figura? Tante volte pure noi crediamo che l’efficacia della missione della Chiesa dipenda dal suo potere e dalla sua capacità di trattare da pari a pari con i potenti della terra. Ci resta allora difficile riconoscere la presenza di Dio in tanti uomini e tante donne di umili condizioni che però hanno incarnato il Vangelo nella loro vita senza accomodamenti e compromessi, fino all’effusione del sangue. Testimoni della verità che talora – bisogna dirlo con franchezza, senza troppi giri di parole - sono stati messi ai margini dalla gerarchia ecclesiastica, in quanto ritenuti pericolosi per la stabilità dell’istituzione e, in alcuni casi, sono stati visti come un impedimento al gioco delle alleanze sullo scacchiere geopolitico. Basti qui citare mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, di cui ancora oggi si fa fatica a riconoscere ufficialmente la santità. Abbiamo assistito negli ultimi decenni a tante beatificazioni e canonizzazioni, ma per questo grande pastore della chiesa salvadoregna che ha dato la vita per il suo popolo si dovrà ancora attendere. Per Romero non sembra valere lo slogan “santo subito”, come non sembra valere per tanti uomini e donne che hanno vissuto i valori del loro Maestro con radicalità e coerenza dentro il quotidiano, dentro una condizione segnata spesso dalla povertà, anche nei cosiddetti paesi ricchi. Donne e uomini per i quali le vacanze al mare o in montagna, eventualmente per ritemprare lo spirito, sono restate un sogno per tutta la vita. Da un altro punto di vista è evidente che oggi la fede è sempre più irrilevante, guardata con sospetto da chi pensa che il messaggio cristiano sia inattuale in una società dominata dal mito dell’uomo potente e di successo, cui è permesso tutto. Un mito che ci viene propinato in tutte le salse dai mass media e che ha inquinato massicciamente persino la sfera politico-istituzionale, con il conseguente degrado della moralità pubblica.

La voce dei profeti è sempre scomoda ed oggi viene messa a tacere con metodi all’apparenza meno violenti di quelli utilizzati nel passato, ma essa non verrà mai a mancare, come segno della fedeltà del Signore all’umanità. Il profeta continuerà a gridare dentro questo mondo iniquo, un mondo che continuerà sostanzialmente a sollevare le stesse obiezioni avanzate dagli abitanti di Nazareth: “Non è costui un uomo che non ha né potere né ricchezza, che non conta nulla a livello sociale e professionale?”

Il problema è sempre lo stesso, e cioè che un Dio che si manifesta come debole e che si mette dalla parte dei poveri finisce per sembrarci superfluo, poiché non può risolvere i nostri problemi, poiché non può venire incontro al nostro desiderio, più o meno inconfessato, di essere persone che contano, che sono rispettate e riverite sulla scena del mondo. Ma non è il consenso a rendere vere le parole del profeta. Non è la maggioranza a decidere sul vero e sul bene. I profeti rompono tutte le barriere, non si curano dell’opinione dei più e delle convenzioni, poiché “sono chiamati a farsi portavoce di Dio per quelli che non hanno nessun altro che parli per loro e a prendere le parti degli emarginati come hanno fatto i profeti dell’antico Israele e come ha fatto Gesù”.

La nostra vocazione cristiana o è profetica o non è. E’ una vocazione che deve basarsi unicamente sulla consapevolezza che ci basta la sua grazia, come ci ricorda l’apostolo Paolo nella seconda lettura. Una grazia che viene incontro alla nostra fragilità nei segni eucaristici del pane e del vino. Qui è la sorgente del coraggio profetico di contestare il potere e una tradizione ossificata, chiusa nella nostalgia del passato, che soffoca ogni tentativo di cambiamento e di trascendimento dello status quo. “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e a casa sua” ci ricorda Gesù nel Vangelo di oggi. E’ difficile accettare queste parole sia a livello individuale sia a livello istituzionale. Si capisce dunque perché ci affanniamo tanto a riaffermare le radici cristiane della nostra società in tutte le sue articolazioni, dal politico al giuridico, finendo per dimenticare la dimensione profetica dell’essere discepoli di Gesù. In fondo quello che spesso ci sta veramente a cuore è essere rispettati, non avere noie, fastidi dentro le mura rassicuranti e protettive della nostra amata patria; per l’annuncio evangelico si aspettano tempi migliori, meno pericolosi per la nostra tranquillità da piccolo-borghesi. Tuttavia la liturgia della parola di questa domenica si ostina a ricordarci che in mezzo a noi ci sarà sempre un profeta. Si tratta solo di riconoscerlo e saperlo ascoltare per poter gridare con la Vergine Maria che “il Signore ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”.

Amedeo Guerriere

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