“L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”. Di fronte alla “carica di solidarietà umana e di fermento rivoluzionario” di questo cantico i documenti più rivoluzionari dell’età moderna, come quello della Rivoluzione Francese, o quello del Partito Comunista di Marx-Engels” (Rosario Esposito) si presentano come moderati. Il Magnificat può essere visto come un canto di guerra, un canto della battaglia di Dio per l’instaurazione di un mondo di uguali, senza classi (Ivone Gebara e Clara Bingemer). Dio ancora una volta qui sovverte i criteri del mondo scegliendo per portare a compimento il suo progetto di liberazione un’umile ragazza, insignificante agli occhi del mondo. Sono sempre di bruciante attualità le parole di Martin Lutero secondo cui “gli occhi di Dio guardano soltanto verso il basso, mentre gli occhi dell’uomo solo in alto”, poiché gli occhi dell’uomo “cercano la condizione vistosa, brillante, lussuosa”, mentre “è una caratteristica di Dio guardare le cose insignificanti”. Ecco perché è dichiarata benedetta non una principessa di questo mondo, oggi diremmo una dirigente d’azienda, una donna di governo, un’imprenditrice di successo, ma una contadina di Nazareth. Nel canto di Maria troviamo la forza per non cedere al nero pessimismo in un tempo come il nostro in cui sembrano trionfare l’ingiustizia, l’odio per il diverso e lo straniero, odio che ci si presenta spesso sotto le sembianze del presunto bene della comunità nazionale e della cosiddetta sicurezza del buon cittadino borghese. Ancora una volta siamo di fronte alla perversione del diritto che diviene strumento di coercizione a servizio dei potenti. Ma il Signore disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, cioè il Signore sconfigge i progetti, costruiti sulla menzogna dei prepotenti, degli oppressori, di coloro che si affidano alla forza del diritto per salvaguardare i loro privilegi. Certamente una diffusa mentalità devozionale, funzionale alla difesa dello status quo, ci ha condotti ad una lettura spiritualistica ed intimistica del Magnificat secondo cui tutto si riduce ad un confronto sul piano spirituale, senza nessun aggancio con la realtà politica e socio-economica, tra orgogliosi ed umili. E sempre umiltà significava in questa letteratura devozionale rassegnazione se non cieca obbedienza al tiranno di turno. Dobbiamo riappropriarci della potenza sovversiva del Cantico di Maria. Non è casuale che in questa solennità la liturgia ci proponga questa suggestiva pagina di Luca in cui due donne, anziché parlare di se stesse, parlano del disegno salvifico di Dio, lodandolo e ringraziandolo. Questa solennità ci ricorda che Dio mette sul trono, destina alla gloria del cielo, gli umiliati, i poveri, gli oppressi, tutti coloro per i quali la vita è una via crucis, costellata di sofferenze e di violenze subite nel corpo e nella mente. L’assunzione di Maria in anima e corpo alla gloria celeste, in quanto primizia della vittoria pasquale di Cristo sulla morte, è una risposta al grido degli oppressi, al grido di tutti coloro che patiscono ingiustizia. Essa è, secondo una felice intuizione di Clodovis Boff, che utilizza al riguardo una bellissima espressione di Max Horkheimer, “una realizzazione tutta particolare dell’anelito che l'assassino non possa trionfare sulla vittima innocente
AMEDEO GUERRIERE
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