"Una mattina già al levarmi dal letto, mi sentii in uno stato insolito di benessere; quel senso di benessere, contrariamente a tutti i casi analoghi, continuò a crescere per tutta la mattina; all'una in punto avevo toccato il vertice più alto, e presentivo quel massimo che dà le vertigini e che non si trova registrato in nessun termometro del benessere, nemmeno in quello poetico.
Il corpo non aveva più il suo peso terrestre; mi pareva ormai di non avere più corpo affatto, appunto perchè ciascuna delle funzioni godeva il suo pieno soddisfacimento; ogni nervo si accordava alla perfezione con se stesso, e vibrava in armonia con l'intero sistema; ogni pulsazione nell'irrequietezza dell'organismo, non ricordava e non testimoniava se non la voluttà del momento. La mia andatura era leggera, non come volo di uccello che solca 1'aria e abbandona la terra, bensì come ondeggia la semente mossa dal vento, come si culla briaco di nostalgia il mare, come trascorrono trasognate le nubi. Il mio essere non era se non trasparenza, come il profondo meditare del lago, come il silenzio compiaciuto della notte, come la quiete monologante del meriggio. Ogni nota mi si componeva nell'anima in melodia. Ogni pensiero mi si prefiggeva con una gioia beata, la più pazza delle trovate non meno che la più ricca delle idee. Ogni impressione, io la presentivo prima che venisse; era dunque già desta nel mio intimo. Tutta l'esistenza era come dire, innamorata di me; vibrava in un solo concerto, gravido di destino con il mio essere; tutto in me era augurale, tutto misteriosamente trasfigurato nella mia microcosmica beatitudine; questa beatitudine trasfigurava a sua volta in sè ogni cosa, anche il disagio, anche la più fastidiosa delle osservazioni, la più repellente delle viste, il più fatale degli scontri. Come dicevo all'una in punto avevo toccato il vertice più alto, onde intravedevo il massimo raggiungibile; ed ecco all'improvviso qualcosa comincia a prudermi in un occhio. Che cosa fosse, un ciglio, una piuma, un pulviscolo, io non lo so; so questo solo: in quell'istante preciso, piombai nel baratro della disperazione".
Il corpo non aveva più il suo peso terrestre; mi pareva ormai di non avere più corpo affatto, appunto perchè ciascuna delle funzioni godeva il suo pieno soddisfacimento; ogni nervo si accordava alla perfezione con se stesso, e vibrava in armonia con l'intero sistema; ogni pulsazione nell'irrequietezza dell'organismo, non ricordava e non testimoniava se non la voluttà del momento. La mia andatura era leggera, non come volo di uccello che solca 1'aria e abbandona la terra, bensì come ondeggia la semente mossa dal vento, come si culla briaco di nostalgia il mare, come trascorrono trasognate le nubi. Il mio essere non era se non trasparenza, come il profondo meditare del lago, come il silenzio compiaciuto della notte, come la quiete monologante del meriggio. Ogni nota mi si componeva nell'anima in melodia. Ogni pensiero mi si prefiggeva con una gioia beata, la più pazza delle trovate non meno che la più ricca delle idee. Ogni impressione, io la presentivo prima che venisse; era dunque già desta nel mio intimo. Tutta l'esistenza era come dire, innamorata di me; vibrava in un solo concerto, gravido di destino con il mio essere; tutto in me era augurale, tutto misteriosamente trasfigurato nella mia microcosmica beatitudine; questa beatitudine trasfigurava a sua volta in sè ogni cosa, anche il disagio, anche la più fastidiosa delle osservazioni, la più repellente delle viste, il più fatale degli scontri. Come dicevo all'una in punto avevo toccato il vertice più alto, onde intravedevo il massimo raggiungibile; ed ecco all'improvviso qualcosa comincia a prudermi in un occhio. Che cosa fosse, un ciglio, una piuma, un pulviscolo, io non lo so; so questo solo: in quell'istante preciso, piombai nel baratro della disperazione".
S. Kierkegaard
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