Il 9 agosto del 1942 moriva, in una camera a gas dei campi di concentramento di Auschwitz, Edith Stein. Era nata in Polonia, a Breslavia, da una famiglia ebrea, cresciuta nella fede dei figli di Israele. Ben presto aveva accantonato la sua fede per intraprendere un percorso di ricerca “rigorosa”, scevra di ogni elemento pregiudiziale che ne potesse inficiare la validità: Edith cercava la verità ad ogni costo, quella che si impone da sé, svincolata da certi sistemi filosofici dedotti a tavolino da un qualunque principio immaginato. Edith si era imposta di stare di fronte alla realtà “senza paraocchi”, pronta ad accogliere quel Vero che rimane tale, cioè eternamente immutabile, come certezza che sostiene in mezzo alle burrascose vicende della storia umana.
Le capitò, così, di lasciarsi trasformare da un evento accaduto nel duomo di Francoforte dove era entrata per ammirare la bellezza artistica del luogo: “Mentre eravamo lì in rispettoso silenzio, entrò una donna con il suo cesto della spesa e si inginocchiò in un banco per una breve preghiera. Per era una cosa del tutto nuova. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato ci si recava solo per la funzione religiosa. Qui, invece, qualcuno era entrato nella chiesa vuota nel mezzo delle sue occupazioni quotidiane, come per andare a un colloquio confidenziale. Non ho mai potuto dimenticarlo”.
Cosa aveva colpito Edith Stein di questo avvenimento che a noi sembra tanto banale, essendo abituati ad un tale fugace “entrare ed uscire” dalla casa del Padre? Quella donna era entrata in una chiesa “vuota”, con la sua cesta della spesa, portando le sue quotidiane attività nelle mani di Dio, mendicando sostegno e completamento al suo lavoro, in quel frangente temporale in cui al popolo di Dio non è chiesto di radunarsi per lodare insieme, con un’unica voce; la donna aveva scelto di recarsi ad un appuntamento intimo, nel silenzio di un incontro personale, in un dialogo libero ed informale, dettato da un bisogno di “dire” e di “ascoltare”.
Edith coglie la fede di questa donna, le viene dato in visione empatica il colloquio intimo che intrattiene con Dio, vede “in carne ed ossa” il loro rapporto amicale, la possibilità di stare di fronte al proprio Signore ed empatizzare il suo amore misericordioso.
Come studiosa di filosofia aveva analizzato a fondo il problema dell’empatia, quella facoltà umana di giungere al coglimento di un vissuto estraneo, di entrare nella diversità individuale e accoglierla come apportatrice di una nuova visione del mondo, densa di un universo valoriale di nuova specie. Con onestà intellettuale E. Stein aveva riconosciuto che l’empatia “porta a sviluppo…quel che in noi sonnecchia e perciò ci rende chiaro quel che non siamo e quel che siamo in più o in meno rispetto agli altri”; nel duomo di Francoforte Edith intravede attraverso questo incontro inatteso il volto della Verità tanto cercata.
Dovrà trascorrere ancora qualche anno prima che il frutto di questa esperienza empatica, unitamente ad altre, darà vita ad un definitivo abbandono alla persona di Gesù Cristo, fino all’offerta di sé, come vittima immolata per amore del suo popolo perseguitato e crudelmente assassinato.
M. Concetta Bomba ocds
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