Dietro il velo delle abitudini...

In questi primi giorni del tempo liturgico di Quaresima, memoria sacramentale dell’esodo d’Israele riassunto nel deserto di 'Yoshua’, trascrivo le parole che ho “inviato” nella lettera rivolta a coloro che passano e sostano nella mia chiesetta, oasi spoglia e silenziosa nel cuore della città…
Lanciano (CH), Quaresima-Pasqua 2007


Nel cammino dei giorni, può capitare che non siano grandi sciagure o scelte impreviste a dover rimettere in ballo la nostra vita, ma la piatta, grigia, noiosa patina dell’abitudine. Abitudine a se stessi, innanzitutto, con i propri difetti e i propri talenti; abitudine alle relazioni con chi ci circonda, sia esso compagno/a di vita e di scelte, sia semplice passante con cui incrociamo a malapena lo sguardo, sia del mondo che ci circonda, violento ed estraneo, oppure asettico e ovattato; abitudine nel proprio rapporto con Dio, sempre più simile alla brutta copia delle nostre consuete compromissioni, dei nostri aggiustamenti perenni.
Il tempo di Quaresima introduce in questi giorni una pausa salutare, che può tramutarsi in vera e propria rottura delle più inveterate abitudini. Lo spazio di tempo che viene proposto, anche in quest’epoca che dilata all’inverosimile le distanze, è il percorso dell’esodo che ogni creatura vivente compie, anche inconsapevolmente, per nascere ad una vita più profonda, più piena, passando per il deserto della prova, salendo sul monte della trasfigurazione, aprendo gli occhi alla luce della fede, entrando fino in fondo nel mistero del dolore che rappresenta la controparte necessaria ad una vita che vince ogni paura, soprattutto quella della morte - e delle piccole “morti” quotidiane, cui abbiamo già fatto l’abitudine, naturalmente…Vorrei proporre a tutti/e alcuni spunti, tratti dal Diario di una testimone singolare e profetica, Etty Hillesum, ebrea olandese morta giovanissima ad Auschwitz nel 1943, che nella sua esperienza di vita interiore può darci modo di uscire dalla trappola dell’abitudine - trappola che colpisce anche chi, come noi, non vive l’esperienza limite della persecuzione e della disfatta.
“…siamo noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave.”
Quale sconcertante affermazione! Non si nega il peso della vita, ma si offre ad esso un significato, nel duplice affidamento a Dio (che Etty invocava come “Mio”, col possessivo unico degli innamorati!) e alle persone, anche quelle che erano causa della deprivazione che l’ha portata alla fine. Più che una libertà apparente, concessa da chissà chi, conta il sentimento di quella condizione che sa fare a meno di tutto, e sente la libertà come dono al fondo della propria vita. È l’annuncio che risuona nei primi giorni di Quaresima, è il grido che sale dopo la corsa al sepolcro vuoto, nel mattino di Pasqua: “Abbiamo visto il Signore!”. Quello stesso Dio che si mostra dietro il velo delle abitudini, e che rende anche la nostra morte quotidiana un attimo carico di speranza, perché aperto alla fiducia nel nuovo, nell’inedito, nell’impossibile.
Ci accompagnino ancora le parole di Etty, perché questo tempo risulti fecondo e, di certo, meno banale di quanto siamo stati capaci, finora, di rendere la nostra vita, la nostra fede.
“Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani… Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché Tu non venga distrutto dentro di me… L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini…”.
(Carmine Miccoli)

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