Se il desiderio più ancorato nelle profondità del nostro essere è lo stare nella settima stanza, il "destino" dei più è di vagare nei meandri del castello in un continuo avanzare e tornare indietro: la stanza del Re, quella nella quale è pronto il talamo nuziale, attende l’ingresso della sposa, ma la sposa, nel cercare, si arresta, si prostituisce e dice: "Voglio andare dietro ai miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e il mio vino!" (Os 2, 7-9). Quale sventura per l’uomo se non fosse costantemente circuito dal suo Dio; è esperienza quotidiana smarrire la strada, correre dietro alle divinità di passaggio, imprigionarsi e vivere la dolorosa realtà della lenta agonia. Ma, "ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2,16). Quando la nostra visione della realtà è imperfetta, distorta, quando i nostri occhi sono capaci di guardare esclusivamente il riflesso di noi stessi in ogni cosa, quando il nostro sguardo non è più in grado di accogliere, giunge inaspettato il tempo dell’oscurità, poiché nel buio, necessariamente, si realizza una riduzione del campo visivo.
Dio ci conduce nel deserto: quando l’uomo è privato di ogni certezza precostituita, quando rimane nella solitudine, senza appoggi, nello sconforto, nella disperazione, allora implora l’intervento misericordioso di Dio, allora il suo mondo interiore, il suo centro vitale "domanda" un' ancora di salvezza. Nelle umiliazioni, nei fallimenti, negli insuccessi, nelle delusioni, nelle ingiustizie ricevute, negli affetti traditi, nasce un bisogno di bloccare il dinamismo di questi ricorsi storici che si ripresentano, ogni volta, con la stessa forza dirompente e disarmante. L’evento negativo che ferisce pone ad un bivio: da una parte conduce alla ribellione, al rifiuto, al rancore, ai risentimenti, ad una sofferenza senza fine; dall’altra diviene preziosa scintilla di ri-creare, di rientrare in uno spazio di rinascita, nella solitudine di un colloquio in cui gridare la propria sete...
(M.C.BOMBA)
Dio ci conduce nel deserto: quando l’uomo è privato di ogni certezza precostituita, quando rimane nella solitudine, senza appoggi, nello sconforto, nella disperazione, allora implora l’intervento misericordioso di Dio, allora il suo mondo interiore, il suo centro vitale "domanda" un' ancora di salvezza. Nelle umiliazioni, nei fallimenti, negli insuccessi, nelle delusioni, nelle ingiustizie ricevute, negli affetti traditi, nasce un bisogno di bloccare il dinamismo di questi ricorsi storici che si ripresentano, ogni volta, con la stessa forza dirompente e disarmante. L’evento negativo che ferisce pone ad un bivio: da una parte conduce alla ribellione, al rifiuto, al rancore, ai risentimenti, ad una sofferenza senza fine; dall’altra diviene preziosa scintilla di ri-creare, di rientrare in uno spazio di rinascita, nella solitudine di un colloquio in cui gridare la propria sete...
(M.C.BOMBA)
Come potremo cercare Dio, dato che egli si trova in una dimensione che noi non possiamo percorrere?
RispondiEliminaPossiamo avanzare solo orizzontalmente. Se camminiamo orizzontalmente cercando il nostro bene, nel momento in cui otteniamo il frutto dei nostri sforzi, ci accorgiamo che ciò che abbiamo ottenuto è illusorio: ciò che avremo trovato non sarà Dio.
Un bambino che non vede più sua madre nella strada accanto a lui, corre di qua e di là, ma facendo così sbaglia. Se egli infatti avesse sufficiente ragione e forza d'animo per arrestarsi ed attendere, la madre lo troverebbe più in fretta. Dobbiamo solo attendere e chiamare.
Non chiamare qualcuno. Dobbiamo gridare che abbiamo fame e che vogliamo del pane. Grideremo più o meno a lungo, ma finalmente saremo nutriti e allora non soltanto crederemo, ma sapremo che esiste veramente del pane. Quando ne abbiamo mangiato, quale prova più sicura potremmo desiderare? Fintanto che non ne abbiamo mangiato, non è necessario e nemmeno utile credere nel pane. L'essenziale è sapere che si ha fame.
(S. Weil)
Grazie...