Le ragioni del cuore


C’è un filo sottilissimo, flebile, che separa una condizione di normalità da problematiche patologiche dell’animo umano: irrompono nella vita di ognuno esperienze di gioia e di dolore, un intreccio di speranze e di delusioni, un miscuglio di felicità e di lacerazioni dolorose. Un universo di stati d’animo contrapposti che elevano verso orizzonti di indicibile pienezza e che, qualche attimo dopo, relegano in uno stato di angosciosa prostrazione.
Può capitare di leggere un saggio di psichiatria (Eugenio Borgna, Le intermittenze del cuore, Feltrinelli) e trovare al suo interno la voce della propria anima che domanda il senso delle sue ferite e cerca i significati velati degli abissi del suo cuore. Di certo non ci riferiamo alle moderne tendenze di una psichiatria che fa l’occhiolino alle neuroscienze, che liquida, sbrigativamente, le ferite dell’animo riconducendole a lesioni cerebrali tempestivamente tamponate con l’ultimo ritrovato farmacologico. Ci riferiamo, invece, ad un tentativo di riflessione sulle ragioni del cuore: “Quante maschere si addensano sui nostri volti e sui nostri sguardi senza che ne sia raccolto il loro richiamo; e così ce ne andiamo lungo i sentieri del dolore e delle nostalgie, degli aneliti di aiuto, che sono in noi…Ma noi desidereremmo essere smascherati, essere riconosciuti, nella nostra autentica dimensione psicologica e umana”. I paesaggi dell’interiorità custodiscono gelosamente scenari di malinconia, di solitudine, di angoscia integrati da slanci di speranza, di tenerezza, di amore. Continuamente compiamo un viaggio misterioso dentro di noi, alla ricerca di significati celati: una vita interiore che, tra oscillazioni di luce e notte, manifesta una condizione umana che tende verso un “di più”, un infinito non posseduto ma ardentemente desiderato da un “cuore in fiamme”. “Nella malinconia non si può non cogliere una rovente nostalgia di amore e di dialogo, di comunicazione e di ascolto. Una nostalgia, e una esigenza, di amore e di umana testimonianza che rinascono continuamente dal linguaggio del cuore e dal linguaggio lacerato del corpo, dei volti e degli sguardi, che dovremmo essere capaci di vedere e di interpretare”. La sofferenza che è negli altri troppo spesso ci fa cambiare direzione, per la paura di riconoscere il volto della nostra stessa sofferenza: “ogni anima umana, quando sia immersa nell’angoscia e nel dolore, attende di essere svelata e compresa nei suoi geroglifici stellari: attende di essere salvata dal drago della sofferenza e della disperazione: attende di essere ascoltata”. Può rivelarsi veramente difficoltoso rimanere sordi ai tentativi omologanti della società che ci propina gli psicofarmaci della serenità per livellare le emozioni e inaridire le fragilità: “si progetta una vita dalla quale si allontani ogni riflessione sul senso della vita, e nella quale si sia immersi in una condizione emozionale standard: in una condizione emozionale gaia e indifferente al dolore nella quale non si abbia più nulla a che fare con l’ansia e la tristezza, con gli stati d’animo che nascono dalle contraddizioni e dalle ferite della vita: con la fatica di vivere che ci fa pensare e ci mette in relazione con la sofferenza degli altri-da-noi e con la nostra sofferenza”. Tristezza, malinconia, angoscia, lacrime trovano una possibilità di redenzione solo nell’amore reso sperimentabile da un incontro con qualcuno che vede la lacerazione, la riconosce e l’abbraccia trasformandola in uno stato di grazia.
M. Concetta Bomba

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