IL DIACONO PER UNA “CHIESA SERVA E POVERA”



Fra le tante novità introdotte dal Concilio Vaticano II vi è stata quella del ripristino del diaconato come grado proprio e permanente della gerarchia, con la possibilità del suo conferimento “a uomini di età più matura età anche viventi nel matrimonio, oltre che a giovani idonei per i quali però deve rimanere ferma le legge del celibato” (Lumen Gentium n.29). Con il Concilio Vaticano torna dunque a vivere nella sua specificità un ministero importante nelle comunità cristiane dei primi secoli, la cui nascita va situata, secondo le ricerche storiche più attendibili, nel periodo post-apostolico, quando cioè la Chiesa avverte la necessità di darsi una struttura più stabile capace di garantirne l’identità apostolica. L’origine del diaconato nell’istituzione dei “Sette”, “per il servizio delle mense” di cui si parla negli Atti degli Apostoli 6,1-6, è secondo la Commissione teologica internazionale (Il diaconato: evoluzione e prospettive) storicamente insostenibile, sebbene una tradizione molto antica abbia visto proprio nei Sette i primi diaconi. Dopo alcuni secoli di splendida fioritura, dal V secolo il diaconato entra in un fase di progressiva crisi per una serie di ragioni, non ultima quella di un certo conflitto con i presbiteri relativamente alla gestione delle risorse economiche, fino alla sua riduzione a momento di passaggio verso il presbiterato. Si comprende dunque l’importanza dell’evento conciliare per il pieno recupero di un ministero essenziale nella vita della Chiesa, i cui compiti sono riconducibili ai tre ambiti della liturgia, della parola e della carità. Soffermiamoci brevemente su di essi.
La diaconia della Parola rimanda al compito di annunziare del Vangelo di Cristo, a partire dalla proclamazione del Vangelo durante l’eucaristia, nella predicazione, nell’omelia e nella catechesi.
La diaconia della liturgia si riferisce essenzialmente al “servizio dell’altare, cioè « aiutare il vescovo e i presbiteri nella celebrazione dei divini misteri», adoperandosi “per promuovere celebrazioni che coinvolgano tutta l'assemblea, curando la partecipazione interiore di tutti e l'esercizio dei vari ministeri”.
La diaconia della carità è sicuramente la più importante, essendo quella che sorregge le altre, nell’ottica della configurazione a Cristo-Servo. Pertanto, “nella preghiera di ordinazione, il Vescovo chiede per loro (i diaconi) a Dio Padre: « Siano pieni di ogni virtù: sinceri nella carità, premurosi verso i poveri e i deboli, umili nel loro servizio... siano immagine del tuo Figlio, che non venne per essere servito ma per servire ». Con l'esempio e la parola, essi devono adoperarsi affinché tutti i fedeli, seguendo il modello di Cristo, si pongano in costante servizio dei fratelli. Le opere di carità, diocesane o parrocchiali, che sono tra i primi doveri del Vescovo e dei presbiteri, sono da questi, secondo la testimonianza della Tradizione della Chiesa, trasmesse ai servitori nel ministero ecclesiastico, cioè ai diaconi; così pure il servizio di carità nell'area dell'educazione cristiana; l'animazione degli oratori, dei gruppi ecclesiali giovanili e delle professioni laicali; la promozione della vita in ogni sua fase e della trasformazione del mondo secondo l'ordine cristiano”. La diaconia “deve far sperimentare all'uomo l'amore di Dio e indurlo alla conversione, ad aprire il suo cuore alla grazia” (Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti n.38).
Tuttavia le sommarie indicazioni qui offerte sono pienamente comprensibili solo se inserite in una prospettiva di più ampio carattere teologico che ci faccia cogliere la caratteristica distintiva di un ministero, cui le mani sono imposte “non per il sacerdozio ma per il servizio”. Tale precisazione è di grande importanza e va ben evidenziata per evitare tanti luoghi comuni che portano a ridurre il diacono ad una sorta di “miniprete” o di “super-chierichetto” chiamato essenzialmente a svolgere un ruolo suppletivo o ancillare rispetto al presbitero. La vocazione al diaconato non è assimilabile a quella del presbitero, cui spetta la presidenza della comunità. Non assimilabilità che emerge con particolare forza ove si parta da una concezione secondo cui sia i diaconi che i preti vanno situati su di un piano simmetrico rispetto al vescovo. In termini più chiari il sacramento dell’ordine va pensato “secondo uno schema triangolare (o a forcella): l’episcopato costituisce la pienezza del sacramento dell’ordine, si trova dunque al vertice del triangolo, il diaconato e il presbiterato sono due maniere distinte di partecipare a questa pienezza e di valorizzarla all’interno della Chiesa locale: sono i due lati del triangolo che discendono dal vertice”. Ne consegue che il diacono è ordinato innanzitutto “per il ministero del vescovo” (Traditio apostolica), di cui è collaboratore naturale nella promozione di una Chiesa “serva e povera”. Da tale sintetiche considerazioni appare chiaro che c’è ancora molto da lavorare perché il diacono sia colto dalle nostre comunità nella sua specificità come rappresentazione sacramentale del Cristo che serve e che come tale “spinge la Chiesa fuori da se stessa, aprendola all’accoglienza del povero, dello straniero e dell’escluso, sul volto dei quali si disegna il volto di Cristo” (A. Borras – B. Pottier). Un compito, quest’ultimo, più che mai urgente per essere profeti di speranza in un mondo malato di disperazione.
La mia vocazione diaconale (sono stato ordinato il 30 novembre 2008) va ricompresa entro questo ampio orizzonte ed è, in un certo senso, l’approdo di un cammino di fede e di educazione all’amore di Dio e dei fratelli svoltosi interamente alla scuola dei santi del Carmelo. La mia vocazione carmelitana come cristiano impegnato ad essere contemplativo nel mondo, dentro le contraddizioni delle storia, si è incrociata con una chiamata giuntami attraverso il mio vescovo, mons. Carlo Ghidelli, a vivere la mia appartenenza all’OCDS nella dimensione del diaconato permanente come donazione d’amore della propria vita, con le sue ricchezze e le sue fragilità, alla Chiesa di Dio che è in Lanciano ed Ortona.
(AMEDEO GUERRIERE)

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